Di Alessandro Perrone e Attilio Galvani
Come scriverebbe Guareschi in uno dei suoi libri “Questa e’ una delle tante storie che il grande fiume del tennis racconta.” Siamo con Attilio Galvani, cognome ben noto agli intenditori di tennis, papà del “più famoso” Stefano (nella foto sono insieme padre e figlio) che ha onorato questo sport per tanti anni dandoci delle belle soddisfazioni, riuscendo a superare la soglia del numero 100 in classifica ATP. Attilio, oltre ad essere stato un ottimo giocatore di terza categoria, e’ da anni un giudice arbitro di tennis molto conosciuto nell’ambiente regionale e nazionale, è stato responsabile dell’attività giovanile del triveneto nel quadriennio olimpico 2001-2004.
Attilio, che ne dici di spiegarci questo “storico” trionfo nei confronti di uno dei giocatori simbolo del tennis?
Lascio la parola a te, raccontaci di questo avvenimento.
Non vorrei diventare famoso per una vittoria francamente poco gloriosa, battere un bambino di 9 anni non è il massimo.
Ricordo che giocava un po’ come gli altri della sua eta’, ne avevo incontrati parecchi in quegli anni, gioco veloce e, quando possibile, si spingeva a rete, come la superficie imponeva, ma soprattutto come i loro maestri chiedevano a loro. Ovviamente non era il Federer di oggi, e molte volte ricordo di averlo passato con dei passanti, ma solo perché la sua “apertura alare” nel coprire la rete non era come quella attuale, e c’erano due autostrade ai lati del “futuro Re” che potevo sfruttare con i miei colpi.
Vorrei approfittare di questo momento di “gossip” per spiegare come sia stato possibile un incontro con tale differenza di valori.
All’epoca lavoravo presso i laboratori di fisica nucleare del Cern di Ginevra e dovendo trovare qualcosa per passare il tempo a fine settimana, cosa di meglio che giocare tornei di tennis? Già allora nei fine settimana, liberi da lavoro e altri impegni, si disputavano tornei con la formula week-end simili ai nostri attuali rodeo.
Scoprii allora che in Svizzera si giocavano anche tornei per la categoria under 10 che in Italia erano categoricamente vietati perché non era pensabile stressare dei bambini così piccoli.
All’epoca trovavo anch’io discutibile il divieto della Federazione Italiana di far giocare a quell’età in quanto credevo non ci fossero limiti di età ma eventualmente di fisico.
Visti i risultati direi che avevano ragione gli svizzeri, noi abbiamo accettato la categoria a partire dal 2001 e non mi sembra che i campi da tennis si siano riempiti di tanti piccoli cadaveri.
Pensate che io avevo già organizzato nei 2 anni precedenti tutta una serie di tornei di propaganda under 10, a cui hanno partecipato atletini praticamente di tutto il Veneto, che la Federazione riteneva illegali al punto che il Comitato Regionale da una parte mi passava le coppe, medaglie e palline ma mi imponeva di dichiarare in caso di inchieste di essere manifestazioni personali di cui il Comitato non ne era a conoscenza.
Certo che quando giocavo in Svizzera trovarmi gli stessi bambini iscritti anche nei tornei per adulti di 4^ e 3^ categoria sembrava una stranezza soprattutto per me che avevo un figlio di quella età a cui era vietato giocare le partite.
Per me era strano e un po’ imbarazzante affrontarli, ma per loro la cosa era assolutamente normale.
Devo dire che dopo un po’ avevo cominciato ad apprezzare il fatto, anche perché perdevano (evidente) ma continuavano ad attaccare come niente fosse e pur perdendo spesso in modo secco non si arrabbiavano ne piangevano mai, accettando con assoluta tranquillità il responso del campo, a differenza dei nostri rampolli per i quali una sconfitta si traduce spesso in tragedia.
Voglio raccontarvi di un episodio esplicativo accaduto dopo un anno di attività. In un torneo per 3^ categoria in corso a Losanna dovevo giocare il primo turno con tale Tricerri che non conoscevo, se non come famoso maestro del Tennis club Geneve, che infatti vedo arrivare con a fianco un bambino piccolo che comprendo subito essere il figlio.
Mi avvicino e chiedo al maestro “gioco con il bambino? come mi devo comportare?” Lui imperterrito va a guardare il tabellone dove vista la mia classifica di C2 mi dice: gli deve dare 6/0 6/0. Abituato ai nostri genitori piangioni sono rimasto basito, ma questo mi ha permesso di capire meglio l’approccio degli svizzeri allo sport.
Vi voglio raccontare un altro episodio sul valore del gioco.
Ho impiegato un anno per capirlo, probabilmente avrò preso dello stronzo italiano tante volte prima di scoprirlo, ma al termine dell’incontro è prassi che i due giocatori si ritrovino al bar e seduti al tavolo il giocatore che ha vinto offre da bere all’avversario scambiandosi qualche chiacchiera in amicizia.
Quanto diverso è il comportamento dei nostri baldi fenomeni che sconfitti a fine partita vanno via incazzati senza salutare il circolo e tantomeno il Giudice Arbitro, spesso a livello giovanile senza nemmeno farsi la doccia, tutti fradici e sporchi.
Non sarebbe bello applicare questa prassi anche da noi?
Vorrei terminare questa chiacchierata tra amici con un altro evento che riguarda Roger Federer ed il sottoscritto.
Saranno passati 6-7 anni dalla sua “sconfitta” che incontro in un torneo Roger Federer che deve giocare il doppio in coppia con Dillschneider contro mio figlio Stefano e Tachabuchnig. A fine partita mi rivolgo verso Federer chiedendogli l’eta’ e lui, con la classe e l’umiltà che lo ha sempre contraddistinto, si ricordava di avermi incontrato tempo fa.
Quattro anni dopo mio figlio incontrò Federer al Roland Garros e dopo aver perso 6/3 6/3 6/3 con quello che nel frattempo era diventato il Federer che tutti conosciamo, al termine dell’intervista televisiva in cui si dichiarava tutto sommato soddisfatto di come aveva giocato, , in tono scherzoso gli dissi “Ma come hai fatto a perdere con quello li. Lo ho battuto anche io”.
Federer e’ sempre stato un grande. Complimenti per l’articolo, e’ bello leggere queste storie “che il grande fiume racconta”.