di Alessandro Zijno
E’ senza dubbio Laslo Đere (Serbian: Ласло Ђере, Hungarian: Györe László), serbo di 22 anni, attualmente numero 96 ATP (br 91) il protagonista assoluto dei Challenger italiani dalla primavera ad oggi: ha conquistato la finale a Vicenza, perdendola da Fucsovics, poi ha vinto il challenger di Perugia e la settimana successiva ha fatto finale a San Benedetto del Tronto (persa dal nostro Berrettini); bene anche a Cordenons, dove ha fatto semifinale e a Roma 2 (Due Ponti, BFD Challenger) la settimana appena passata quando ha raggiunto i quarti. Ma chi è questo ragazzo ancora poco conosciuto al grande pubblico e che promette scintille anche nei tornei maggiori? Innanzitutto c’è da osservare che ha già avuto un paio di acuti nei 250 ATP, con la semifinale a Budapest e i quarti ad Istanbul. Poi c’è da aggiungere che finora ha dimostrato di valere più su terra che sulle altre superfici dove ha vinto ben pochi incontri. Il motivo di poca competitività sul veloce è forse da ricercare più nell’atteggiamento in campo che nelle caratteristiche tecniche, visto che Laslo appare completo sul piano tecnico nei colpi da fondo, ma ancora troppo poco aggressivo, sia sul servizio sia sulla risposta. Il rovescio a due mani è un fattore, velocissimo nel gesto e assai preciso, sia in lungolinea sia in diagonale. Il diritto anche è molto solido, sbaglia pochissimo Laslo, tendendo a gestire lo scambio con pazienza. Il servizio appare molto migliorato rispetto al periodo Junior, al 2012, quando a 17 anni, vinceva l’Orange Bowl e al 2013 quando faceva finale al Bonfiglio perdendo solo da Alex Zverev. Abbiamo potuto seguirlo da vicino nei tornei di Perugia e San Benedetto e possiamo dire che Djere è spettacolare in fase difensiva e negli appoggi: nonostante una tattica che appare esclusivamente votata a difendere, Laslo sa attendere sapientemente il momento giusto per contrattaccare aprendosi bene il campo. Sembra ancora a poco agio nei pressi della rete. Lo scorso anno, sempre in occasione del Challenger perugino 2016, lo abbiamo visto allenarsi tantissimo sulla volee con il Maestro Coach Internazionale Alberto Castellani, che lo segue spesso e volentieri e ce lo ha descritto come uno dei futuri fenomeni del tennis mondiale. Abbiamo apprezzato molto la sua grinta nel training, l’intensità dell’allenamento, sebbene i progressi sul gioco di volo non sembrino eccezionali. Il ragazzo in privato è umile e tranquillo, non avvezzo a divertimenti extratennistici, un professionista esemplare. In realtà, nonostante giochi per la Serbia, Laslo è di origine ungherese, nato in una città della Vojvodina, che si chiama Senta, situata a nord della attuale Serbia ma abitata da una maggioranza schiacciante di etnia ungherese. Del popolo serbo Laslo ha preso la combattività, non dimentichiamoci che per secoli tutta la Vojvodina è stata teatro di battaglie tra vari popoli, schiacciata da nord dalle etnie germaniche, da sud dagli ottomani o dagli altri popoli balcanici, e che i guerrieri o i militari serbi sono stati storicamente e alternativamente difensori o conquistatori di queste terre. Da parte ungherese Laslo ha probabilmente ereditato una vena malinconica e artistica che si estrinseca più fuori che dentro al campo: il campione lascia spazio ad un ragazzo tranquillo e riservato, che spesso esce dal campo a testa bassa anche dopo una vittoria, non a mostrare depressione quanto per riserbo e voglia di restare idealmente solo. La sua città, Senta, è terra di confine, oltre a Serbia e Ungheria, anche la Romania è molto vicina; Timisoara, una delle capitali culturali dell’intera Romania ha influito moltissimo anche sui cittadini della frontiera serba vicina, e Laslo e la sua famiglia non sono stati indifferenti a queste influenze che lo hanno spinto ad avventurarsi spesso in Italia anche per allenarsi, come testimoniano le numerose incursioni alla corte di Castellani. Attualmente è il Coach internazionale Dejan Petrovic a seguirlo, ed è una garanzia visto che è il trainer che ha condotto Ana Ivanovic tra le più forti giocatrici mondiali.
Un altro tennista che si è messo particolarmente in luce è stato il portoghese Pedro Sousa, che gioca un tennis con poche rotazioni, anche lui come Djere molto regolare, e astuto tatticamente. Non è appariscente ma assai solido: numero 102 del mondo, suo best ranking a 29 anni, è pronto per scenari anche superiori, nonostante sia uno dei più sottovalutati da osservatori ed addetti ai lavori distratti. In realtà Pedro è uno di quei giocatori che gli avversari eviterebbero sempre volentieri, perché le sue brutte performance sono assai rare ed ha un gioco di contrattacco fastidioso. Assiduo frequentatore dei tornei Challenger quest’anno ha vinto Como e Francavilla, ha fatto quarti a San Benedetto, e si propone con molta umiltà anche nei 250: pur preferendo la terra rossa, Pedro può far bene anche sul veloce, in particolare sul cemento indoor e su erba, visto che ha colpi piatti e si sposta velocemente sul campo. Pedro è un ragazzo solare, educato e semplice, sempre sorridente e con poche ansie prima dei match, almeno per quello che si nota girando i tornei.
Nome nuovo fino ad un certo punto quello di Viktor Galovic, 27 anni appena compiuti, che ha avuto una primavera/estate strepitosa, cominciando con le bella finali dei Futures di Frascati e Bergamo su terra per arrivare fino alla vittoria nel Challenger di Recanati sul veloce, partendo dalle quali e alla finale di Braunschweig sul rosso: attualmente 235 ATP, vicino al best ranking raggiunto in estate al numero 224, l’italo-croato si propone come una mina vagante nei prossimi Challenger e può spingersi molto avanti nei 250 ATP. La città del poeta Leopardi ha regalato a Viktor Galovic la gioia del suo primo titolo a livello Challenger e sono anni che tutti noi che amiamo il tennis cosiddetto di seconda fascia conosciamo le doti tennistiche del ragazzo italo-croato, il suo innato talento, il suo fisico nato per lo sport, e le sue caratteristiche da schema servizio-diritto che ne fanno un avversario temibile per chiunque. Proviene da una classe sociale medio bassa, ha dovuto lottare molto per emergere fin da ragazzino, ha dovuto ingoiare spesso bocconi amari per sopravvivere in un mondo spietato e a volte ipocrita come quello del tennis. Caratterialmente tende ad essere piuttosto schivo, non ama concedere interviste o essere al centro dell’attenzione né è avvezzo a gesti particolarmente iracondi in campo. Si allena da 3 anni con Panajotti a Verona, e a Recanati è stato splendido ed emozionante assistere all’abbraccio con Davide Cassinello appena vinta la finale: Cassinello è uno dei preparatori atletici più competenti e stimati d’Italia, allievo tra i prediletti del mitico prof. Buzzelli, e tra i due si è instaurato un rapporto che va oltre quello tra allenatore e atleta. Il manager Carlo Piccoli ha investito su di lui in tempi non sospetti.
Molto bene, come del resto gli capita da anni, lo spagnolo Roberto Carballes Baena, attualmente numero 103 del mondo con best ranking piazzato al numero 95 un anno fa: il ragazzo di Tenerife ha costruito la classifica quasi solo con tornei su terra. L’unico risultato di rilievo sul veloce è rappresentato dalla semifinale nel Challenger di Noumea in Gennaio, il challenger con il cut off più basso dell’intero panorama mondiale perché si gioca lontanissimo da Europa e Americhe e si svolge in un periodo dell’anno in cui molti tennisti stanno svolgendo ancora la preparazione invernale. Questo potrebbe il suo limite in un’ottica di crescita ed inserimento nel circuito maggiore. In Italia ha vinto in questa stagione a Cortina e a Manerbio con l’aggiunta di una finale a Cordenons. Noi l’abbiamo seguito ed apprezzato a San Benedetto del Tronto, dove si è però ritirato al secondo turno per un infortunio alla spalla. Il suo coach è Josè Maria Arenas, un sergente di ferro come lo descrive anche Roberto, che durante la premiazione al Challenger di Manerbio lo ha ringraziato pubblicamente definendolo come il primo responsabile dei suoi successi. Roberto proviene dalla media borghesia spagnola, precisamente dall’Isola di Tenerife, dove si mescolano la “garra” spagnola e il ritmo lento e compassato dell’Africa. E il suo gioco rispecchia un po’ la sua terra di origine: è un rematore da fondo, un lottatore su ogni palla, arrotata e abbastanza sopra la rete come da tradizione spagnola, difficilmente alza il ritmo e trova difficoltà ancora ad uscire dalla sua zona di comfort in campo. E’ qui che coach Arenas deve lavorare.
Un altro che si è messo in luce nei Challenger è stato Filip Krajinovic, serbo 25enne, attualmente numero 105 ATP (best ranking 86 nel 2015), ex allievo dell’Accademia di Bollettieri e molto amico di Novak Djokovic, che avevamo visto in grande spolvero nel Challenger di Bergamo sul veloce indoor, e successivamente vincitore a Biella senza perdere un set. A Roma 2 (BFD Challenger) in questa settimana ha trionfato tornando a giocare un tennis aggressivo e solido allo stesso tempo che lo riporta di gran carriera in top 100 da lunedì. Lo abbiamo visto in campo molte volte, in allenamento e in gara, e colpisce il fatto che ancora non sia riuscito a dare il meglio di sé. Questo ragazzo è un possibile top player per capacità tecniche ed atletiche, il vero problema finora sono stati gli infortuni: un paio di anni di tribolazioni a cavallo tra il 2011 e il 2012 per una spalla, poi il ritorno e pochi mesi fa ancora problemi alle articolazioni degli arti superiori (polso) e anche un virus che lo ha debilitato. Però il ragazzo ci crede. E tanto. Spinto fortemente dal padre, veterinario, che ne ha sempre percepito le grandi potenzialità, Filip è entrato come una furia nel tennis di alta performance, partendo con le semifinali raggiunte negli US Open e Wimbledon e i quarti al Roland Garros a livello Junior nel 2008, quindi a 16 anni; poi si è issato fino al numero 86 ATP che ha dichiarato avergli dato al momento la più grande soddisfazione della vita. La sua esistenza è totalmente dedicata al tennis da quando aveva 15 anni e si è trasferito a Bradenton nell’Accademia di Bolettieri, dove ha avuto la possibilità di confrontarsi con i più forti giocatori del mondo già da junior, e dove ha anche formato la sua grande abnegazione grazie agli insegnamenti sul campo del vecchio Guru italo americano. Laggiù però, lontano dalla sua famiglia e da Sombor, nella Vojvodina settentrionale, dove è nato in territorio serbo, Filip era spesso triste e sconsolato e questo da una parte ne ha fatto un atleta più forte sul piano delle motivazioni, ma lo ha anche già privato di tante esperienze che i ragazzi della sua età dovrebbero fare al di fuori della sfera sportiva. Pro e contro della precocità. Allenarsi alle 5 di mattina, poi studiare per qualche ora, poi di nuovo tennis dalle 11 alle 19 con mezz’ora per mangiare e un’oretta scarsa di riposo, più altro studio la sera (sia tennistico sia di altra natura) hanno creato molti fenomeni della racchetta ma anche più di un ragazzo un po’ disorientato e senza radici.
Da ultimo ma non da meno, vorremmo citare uno dei ragazzi ancora meno conosciuti, Moez Echargui (attualmente top 500), tunisino di 24 anni, messosi in evidenza a Perugia, con la qualificazione al tabellone principale, dotato di mezzi atletici fenomenali, una esplosività pazzesca su un fisico ben strutturato, tecnicamente ben formato, senza punti deboli. Abbiamo avuto modo di passarci 3 giorni insieme col suo coach quando è qui in Italia che risponde al nome di Skander Mehir ed abbiamo potuto apprezzare una dedizione all’allenamento pazzesca, che ne fa un atleta davvero di livello altissimo. E’ anche un ragazzo che ha saputo dedicarsi allo studio negli USA, pur provenendo da una famiglia non particolarmente agiata (i genitori fanno parte della media borghesia tunisina, e non brillano per potere economico), e quindi ha anche basi culturali solide. Insieme a Marc Polmans, australiano che è già più avanti in classifica (233 ATP) ed ha solo 20 anni, il tunisino si segnala come il possibile outsider del 2018.
Alessandro Zijno
E’ un piacere leggere i tuoi articoli, continua cosi’…