3 domande a …. Luca Baldissera

di Alessandro Perrone

Luca Baldissera, e’ un maestro FIT. Ma soprattutto e’ “famoso” come inviato della testata “Ubitennis” nei tornei di tutto il mondo. Autore di live su social durante le settimane dei tornei, si occupa, quando non e’ a vedere giocare i mostri sacri del tennis, di tecnica e bio-meccanica dei colpi.

Quanto la tecnologia (nuove racchette, nuovi attrezzi e metodologie di allenamento) ha cambiato il tennis?



Lo ha stravolto. In particolare, le corde in monofilamento, più ancora delle racchette in materiali compositi. Con la possibilità di produrre rotazioni mai viste prima (pioniere ad alto livello dei monofilamenti, Luxilon per l’esattezza, fu Gustavo Kuerten nel 1997, al Roland Garros vinto a furia di top-spin incredibili), il gioco è progressivamente diventato sempre più orientato alla pressione ossessiva da fondocampo.

Gli angoli a disposizione dei contrattaccanti sono diventati impossibili da coprire per chi va a rete, e il gioco al volo ha cessato di essere una tattica vincente, rimanendo solo come eccezione. Basta vedere le statistiche globali delle stagioni, ormai si usa solo metà del campo di gioco. Dalla riga del servizio in avanti è “terra di nessuno” da quasi vent’anni ormai.


Da buon estimatore del bel gioco, ti piace il tennis di oggi?

Se dovessi fare un analisi tra il modo di giocare degli anni 80 e quello di oggi, cosa potresti dire?

Come detto, fino alla fine del secolo scorso era possibile vincere al massimo livello letteralmente in infiniti modi diversi. C’erano gli attaccanti puri del serve&volley, gli aggressivi che anticipavano a tutto campo, i fondocampisti pedalatori, gli specialisti delle diverse superfici. Ora il modo di vincere è solo uno: se provi a fare qualsiasi cosa di diverso dalla pressione con i colpi di rimbalzo, vieni sistematicamente impallinato.

Una cosa positiva c’è, comunque: sono scomparsi i “pallettari”, quelli veri, alla Barazzutti per capirci. Ora non puoi assolutamente più permetterti di rimettere semplicemente la mpalla in campo, devi tirare e anche forte, sennò ti entrano gli avversari e ti sbattono fuori dal campo in due drittoni. Ed è tornata in auge la palla corta, colpo quasi scomparso ai tempi in cui erano tutti proiettati in avanti, mentre ora, per reggere il palleggio rapidissimo e super carico che caratterizza il gioco di tutti, si è costretti a stare due-tre metri dietro la riga di fondo.

Ovviamente, in questa situazione tattica, un “drop shot” ben giocato diventa un’arma validissima.


Nuove regole ATP, nuova Coppa Davis, cambio delle superfici, “allentamento” dell’erba di Wimbledon, nei 1000 la finale non 3 su 5, non e’ che il tennis si sta un po’ troppo piegando al dio denaro e si sta perdendo la bellezza e l’incertezza nel risultato dei “vecchi tempi”?



Il motivo dei cambiamenti è chiaro, non si potevano più permettere partite con in campo gente tipo Sampras o Ivanisevic, capaci di farsi 60 ace a testa. Ma per limitare i grandi servizi, si sono provocati danni collaterali molto significativi.

A mio avviso, bisognerebbe intervenire sull’aerodinamica delle palle, lavorando su peso e materiali, e magari utilizzando palle specifiche a seconda della superficie, quindi da terra, da cemento, da erba, esattamente come con le scarpe. Si potrebbe allora avere un Wimbledon ancora super veloce, dove saper attaccare la rete è indispensabile, ma magari giocato con palle che impediscano di tirare oltre i 200 kmh, che già bastano e avanzano per fare ace se la battuta è ben piazzata.

E lo stesso negli altri Slam, perchè non è possibile vedere finali a Londra giocate in modo identico che a Parigi. Il problema, purtroppo, è che nell’inseguire il cosiddetto “stardom” dei grandi campioni che vincono sempre di più, uniformando tutte le superfici per facilitare le vittorie dei “soliti” (pensiamo anche alle 32 teste di serie, una volta erano 16), si è uccisa la varietà tecnica e tattica. Vogliono avere sempre gli stessi in fondo ai grandi tornei (e ci sono riusciti, basta vedere i numeri folli delle vittorie dei “tre alieni”), senza rischiare che – come avveniva spesso vent’anni fa – uno specialista dell’erba, per esempio, buttasse fuori nei primi turni uno dei favoriti.

Personalmente comprendo il tifo e la passione che campioni come Federer, Nadal e Djokovic suscitano in chi li segue, ma non potrò mai convincermi che tre cannibali che vincono 60 Slam in 15 e rotti anni siano uno spettacolo migliore di 10 campioni che ne vincono 6 a testa nello stesso periodo, un po’ come avveniva tra gli anni 80 e i 90.

La chiamano da sempre l'”epoca d’oro” del tennis per un motivo. Speriamo di ritornare a qualcosa di simile in futuro.

 

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