di Lorenzo Corleto – Morion
Il tennis, purtroppo per chi ne assapora il fascino, è uno sport complicato, in grado di spedirti al settimo cielo e poi sprofondarti in pochissimo tempo. E’ soprattutto uno sport situazionale: l’esito del punto non dipende solo dalla bravura dei giocatori, ma anche dal rimbalzo della palla, dalle condizioni atmosferiche e da molti altri subdoli fattori che, come spade di Damocle, pendono sulla testa dei poveri tennisti.
La superficie del campo è sicuramente un elemento fondamentale e si divide in 3 tipi: terra battuta, erba (naturale e sintetica) e superfici dure (cemento e manto sintetico).
La terra battuta, quasi sempre rossa (ad eccezione di un malriuscito campo in terra blu al Masters 1000 di Madrid nel 2012), è caratterizzata da un rimbalzo alto e lento, che favorisce quindi i tennisti più prestanti dal punto di vista fisico. Infatti Nadal, che dell’atleticità fa il suo punto di forza, è il padrone indiscusso di tale superficie in tutta la storia di questo sport: è l’unico tennista ad aver vinto ben 13 edizioni del Roland Garros, il Grand Slam parigino sulla terra, oltre ad altri numerosi titoli conquistati nei Masters 1000, come Roma, Madrid e Monte Carlo (qui ha trionfato 11 volte in totale e dal 2005 al 2013 ha vinto 43 partite di fila).
La terra rossa è la superficie della grinta e della lotta, dove per vincere la partita si è costretti a sudare e a dare battaglia. E’ la tipologia di campo più usata in Spagna e in Italia, ma anche altre nazioni la preferiscono all’erba e al cemento.
Per le sue caratteristiche, è quindi una superficie adatta ai cosiddetti “contrattaccanti da fondo”, ovvero quei tennisti che riescono a trasformare una situazione di difesa in una di attacco.
Tra questi citiamo ovviamente Nadal, l’austriaco Thiem e il tuttofare Djokovic.
ERBA
L’erba è la superficie veloce per eccellenza. La pallina schizza rapida da una parte all’altra e gli scambi su questa superficie sono, di solito, abbastanza brevi.
Rispetto all’erba naturale, il manto in erba sintetica garantisce una minore velocità e, come è facilmente intuibile, anche una maggiore praticità: non necessita di uno specifico lavoro di mantenimento ed è più usata, almeno nei comuni circoli sportivi, di quella naturale.
Il Grand Slam di Wimbledon è conosciuto non solo per la magia di cui è inebriato, ma anche per i suggestivi campi in erba reale che vengono calpestati e inevitabilmente rovinati dai tennisti e che richiedono un trattamento annuale da parte dei giardinieri dell’impianto.
L’erba è la superficie più romantica: incarna appieno il concetto di dinamicità e “tambureggiamento” del tennis e cela dietro i suoi fili storie affascinanti, come il record di vittorie di Federer (ben 8) proprio a Wimbledon.
Il tennista svizzero rappresenta il giocatore ideale per questa tipologia di campo, dal momento che basa l’organizzazione del punto su rapidità, concretezza e conquista dello spazio. Oltre a lui, citiamo alcuni spilungoni come Isner (detentore, insieme a Mahut, del record della partita più lunga nella storia di Wimbledon, 70-68 al quinto set in 11 ore di gioco) e Anderson che, grazie ad un servizio reso ancora più devastante dal terreno, partono con un piede avanti.
Caso a parte Djokovic: come abbiamo detto, vince sempre e comunque, indipendentemente dalla superficie.
SUPERFICI DURE
Le superfici dure sono due: il cemento e il sintetico. Esse, al contrario dell’erba naturale e artificiale, non presentano sostanziali differenze tra loro e si pongono a metà strada tra le tipologie di campo analizzate precedentemente: il rimbalzo è alto come per la terra e la pallina viaggia più velocemente come per l’erba.
Il cemento in particolare è la superficie più usata in America, dove proprio negli ultimi anni stanno emergendo talenti importanti ed è adatta a tutti i tennisti alle prime armi: il rimbalzo né basso né troppo alto e una velocità di gioco nella media permettono di apprendere con facilità le basi di questo sport, sebbene anche le altre superfici siano ovviamente praticabili da esordienti e principianti.
Sul cemento e sul sintetico spiccano in particolare Djokovic, principe, se non re, della superficie come Nadal sulla terra rossa, l’inglese Murray e l’argentino Del Potro, il cui dritto sembra perforare il terreno di gioco per potenza e brutalità. Del Potro è stato anche il vincitore dell’edizione degli Us Open (secondo Grand Slam, insieme agli Australian Open, sul cemento) nel 2009 dopo una memorabile finale contro Federer, nella quale riuscì a rimontare 2 set di svantaggio e a vincere il quinto per 6-2.
L’articolo originale puo’ essere trovato sul blog di Morion.it nella sezione “Morion e il Blog del Tennis” al seguente link
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