Intervista a …..Vincenzo Martucci

di Adamo Recchia

Vincenzo Martucci: “ Il più grande giocatore ?  A mio giudizio Rod Laver è stato il più grande “

E’ proprio il giocatore australiano la musa ispiratrice di Vincenzo Martucci storica firma della Gazzetta dello Sport.

Vincenzo sino al 2015 per 34 anni ha scritto per la rosea non solo di tennis ma anche di altri sport seguendo per anni anche diverse Olimpiadi.

Martucci è stato anche autore di diverse fatiche letterarie inerenti vari temi e personaggi del tennis.

Ora dirige Sportsenators dove mette passione e professionalità come i primi giorni.

Mai  domo dobbiamo segnalare la sua recente pubblicazione con Paolo Bertolucci dal titolo “ Il Rinascimento del tennis italiano “, dove insieme all’es Davisman, hanno raccolto tutte le annotazioni e le esperienze raccolte in tanti anni di tennis.

Parlaci di Te dove sei nato dove sei cresciuto

Sono nato a Napoli, ma dopo tre mesi appena i miei genitori si sono trasferiti per lavoro a Roma dove sono cresciuto e dove sono rimasto fino ai 24 anni, prima di trasferirmi anch’io per lavoro a Milano. Dove tuttora risiedo

Il tennis come lo hai scoperto

Casa mia, a Roma, è al quartiere Flaminio, di fronte al ponte duca d’Aosta, e quindi del Foro Italico. Da bambino un po’ per sfida con gli amichetti, un po’ perché non avevo tanti soldi, entravo agli Internazionali d’Italia di tennis attraverso i buchi nella recinzione. Così, un giorno, nel 1971, quando avevo 14 anni, rimasi folgorato dalla visione di Rod Laver, un giocatore unico che poi ho rivisto, in parte, solo in Roger Federer.

Come è cominciata la Tua strada come giornalista tennistico

Ho cominciato a collaborare con la redazione sportiva romana del Corriere della Sera, e con piccole e saltuarie collaborazioni con un gionale poi scomparso, Vita Sera, con il Mattino di Napoli e con la nascente Rai3. Poi, durante il primo scandalo scommesse, seguendo la Lazio a livello di notizari per il Corsera mi sono fatto notare da Gino Palumbo, mitico direttore della Gazzetta dello Sport, che accolse la mia richiesta di un colloquio e mi assunse un anno dopo, a Milano. Era il 1981, ci sono rimasto per 34 anni, seguendo anche otto Olimpiadi (sette estive e una invernale), oltre a centinaia di tornei di tanti sport, a cominciare dal tennis.

Hai scritto per tanti anni per la Gazzetta dello Sport rammenti un aneddoto particolare

“L’emozione che non mi abbandonerà mai è quella della finale di pallanuoto di Barcellona 1992, quando il re di Spagna si presentò in tribuna per applaudire il trionfo dei suoi giocatori nella giornata di chiusura dei Giochi e il tifo di casa era fortissimo, violento, scorretto. Il Settebello la spuntò dopo tre supplementari e io mi sentii fiero di essere italiano, abbracciato ad altri italiani. Gli aneddoti sono milioni, anche perché Candido Cannavò mi spediva un mese prima sul posto ad intervistare gli azzurri dei vari sport che si acclimatavano e quindi sono stato in largo anticipo nelle sedi dei Giochi dal’88 al 2012. Prima o poi li racconterò in un libro. A cominciare da quando, insieme a Valentina Vezzali – sì proprio la neo sottosegretaria allo sport – davo da mangiare ai canguri a Sydney… O quando accompagnavo Vincenzo Maenza al peso ogni giorno pregando con lui che avesse guadagnato quel niente per rientrare nella categoria: era una calvario, mi aveva preso in simpatia perché mi chiamo come lui. O quando intervistai, in esclusiva mondiale, Stefan Edberg subito dopo il primo trionfo a Wimbledon nell’88: l’amico Gianni Ocleppo mi fece entrare a villa Ferrero, sulla costa azzurra, dove si era nascosto il timidissimo svedese”.

 

Se dovessi fare il nome di un collega che secondo Te era il top del giornalismo tennistico chi diresti

Gianni Clerici per la scrittura e Rino Tommasi per la conoscenza sono stati sicuramente il mio punto di riferimento e lo sono tuttora: spero di aver mediato fra i due.

Fai parte del progetto SPORTSENATORS come è nata l’idea e che sviluppi avrà

Sono il direttore del sito, che ho creato insieme al mio socio Daniele Flavi. L’idea primaria è stata quella di creare una platea per i giornalisti che, come me, avessero qualcosa da raccontare dopo una vita da guardoni di sport e potessero esprimere giudizi ed opinioni. Quindi un sito diverso, meno di notizie e più di pensieri. Avevo pensato di inserire nel lotto solo gli ex colleghi di rilievo della Gazzetta dello Sport, poi mi sono allargato anche a quelli di altre realtà ai quali ero più legato o che stimo maggiormente. Problemi fisici e di età di molti di loro, penuria di denari miei e diversità di intenti comuni mi hanno fatto poi parzialmente deviare nella mia missione, coinvolgendo anche aspiranti giornalisti e appassionati. Spingendomi a un ruolo di chioccia che non mi dispiace e che si avvicina di più al giornalismo social moderno. Anche perché mantengo comunque un occhio particolare per l’altro bacino che mi interessa tener vivo: quello di allenatori, manager, preparatori atletici, ex atleti, preparatori mentali, cui dare la parola perché raccontino le loro esperienze. Il primo è stato mil nipote Andrea, che ha raccontato com’ha vissuto, da piccino e poi crescendo, da giocatore di basket anche lui, la presenza in famiglia di un papà campione, come Roberto Premier, ala-tiratrice della mitica Milano di Meneghin e D’Antoni.

Sei anche autore di libri quale ricordi con maggior piacere

Mi hanno dato molta soddisfazione i primi due, “Nadal l’extraterrestre” e “Serena la regina del tennis”, che ho scritto nel mio eremo in Puglia, una terrazza sul mare che mi trasmette sempre grande emozioni ed enorme creatività. Rafa e Serena sono due dei personaggi più interessanti e carismatici dello sport mondiale, e si arricchiscono continuamente di nuovi capitoli. Del resto quand’ero alla Gazzetta ho lanciato una fortunata serie di pubblicazioni monografiche su tutti i massimi protagonisti del tennis e ho anche curato una collana di Dvd, con interviste a tutti i giocatori e i giornalisti più grandi di questo sport.

In tema di libri parlaci della tua ultima fatica con Paolo Bertolucci

Paolo è un amico: lo conoscevo già da giocatore ma, da quando è diventato capitano di coppa Davis, nel 1997, abbiamo stretto un rapporto che, negli anni, si è consolidato nel nome della stima reciproca come uomini e come conoscitori ed amanti genuini dello sport. Ho suggerito io il suo nome come opinionista quand’ero capo-rubrica alla Gazzetta dello Sport e sono convinto che sia tuttora l’osservatore più attento del settore. Il libro è nato dalle nostre chiacchierate quotidiane al telefono o via what’s up, cose che magari non si possono dire e scrivere compiutamente ma che sono spunti reciproci di riflessione. Quando lui sbarca dalla sua Verona a Milano per commentare Slam e Masters 1000 su Sky si ferma a dormire in un albergo che, guarda caso, dista duecento metri da casa mia. Per cui, la mattina, gli facevo visita e annotavo i suoi pensieri sulle varie fasi che affrontavo del tennis italiano dagli anni 70 ai tempi nostri. Partendo dal titolo che ho scelto io, “Il Rinascimento del tennis italiano”, ho utilizzato le sue riflessioni come approfondimenti ad arricchire la cronistoria che non era mai stata fatta prima. Altri pensieri li ha scritti lui, a penna, e me li ha spediti come pizzini sempre su what’s up”.

Quale tennista a tuo giudizio è stato il più grande della storia e perché

A mio giudizio Rod Laver è stato il più grande, anche per essere stato l’unico della storia a chiudere due volte il Grande Slam, che sarebbero potuti essere di più se non ci si fosse messa di mezzo la divisione fra professionisti e dilettanti. Soprattutto, ricordo vivamente, come trasformasse continuamente qualsiasi fase difensiva in offensiva, quanta varietà di colpi possedesse, quanto fosse impressionante la sua velocità, da cui il nomignolo di Rocket, razzo. Poi di così illuminante ho visto John McEnroe, Roger Federer e, oggi, a sprazzi Dennis Shapovalov. Fabio Fognini e … Lorenzo Musetti.

Cambio in panchina Barazzutti Volandri come lo giudichi

Gli anni passano per tutti: io, per vent’anni buoni ho viaggiato per oltre 150 giorni l’anno ed ero in grado di sostenere lo sforzo fisico e psicologico di chi, appena sbarcato in un’altra nazione, magari con un altro fuso, con altre abitudini alimentari ed altre lingue, doveva comunque assicurare più articoli al giorno per un giornale d’élite com’è stata la Gazzetta dello Sport, con vendite stratosferiche e qualità straordinaria dei suoi giornalisti. Oggi viaggiare mi fa fatica, ci metto tanto di più a recuperare e ad adattarmi, mi sento sempre molto più giovane della mia età anagrafica, dentro, ma gli anni passano per tutti. E quindi anche Corrado Barazzutti deve accettare questa legge della vita: ha fatto la sua parte ma è giusto che lasci spazio ai giovani, come ho fatto io lasciando la Gazzetta nel 2015, subito dopo l’indimenticabile finale degli Us Open Pennetta-Vinci, finora l’acme del tennis italiano. Filippo Volandri, del resto, ha le qualità giuste sia come ex tennista di livello che come persona per meritarsi un simile ruolo. Che, comunque, da capitano di Davis, è molto cambiato rispetto al passato quando le partite della nazionale erano di più nel corso della stagione e i coach privati non erano così inseriti nel gruppo.

 

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