L’Arte dello Sbrocco, ed essere John McEnroe

di Andrea Lanzavecchia

Nel nostro amato sport, raramente abbiamo assistito a clamorose reazioni sul campo dei nostri Eroi. E quando accade, lo stupore è grande.

Djokovic a New York e relativa squalifica è stato il caso più eclatante più recente, c’è stata Serena Williams, si fa finta che ogni tanto ci sia Fabio Fognini, o Nick Kyrios ma bisogna essere John McEnroe per poterselo permettere davvero.

 

La verità è che Serena Williams, Nole hanno sbroccato, libero sbrocco in libero sport, se volete. Ma avevano torto, perché per avere ragione, per saltare la rete che divide la cronaca sportiva dal campo del mito, bisogna essere John McEnroe, e nessun altro.

Nel suo più celebre momento d’ira, sul prato di Wimbledon nel 1981, ai tempi in cui in Inghilterra l’etichetta contava ancora qualcosa, Diana Spencer aveva appena iniziato a picconare le istituzioni, McEnroe ripeteva come un dio disturbato durante la Creazione e precipitato nel bel mezzo di una favola per idioti: “You cannot be serious”. Ed era uno yankee alla conquista del mondo, ed era un ace in faccia all’establishment, ed era qualcosa che cambiò non le regole del tennis, ma i comportamenti sociali intorno allo sport.

La storia dello sport è ricca di sbroccatori seriali, nemmeno Serena Williams è una neofita in materia. Ma tra contestare la decisione di un giudice arbitro straparlando di gender equality e trasformare un mondo, c’è differenza.

McEnroe è stato il fuoriclasse che ha cambiato le regole della comunicazione e portato il tennis nell’epoca globale e il divismo in una dimensione altra rispetto all’agonismo. Serena Williams, per esempio, ha vinto tanti Slam, ma non ha aggiunto niente a quello che sappiamo già, del mondo. Perché tirare fuori dalla sacca della bile la faccenda del sessismo è banale, tirar fuori la figlia è semplicemente ridicolo, come accade a New York  nel 2019. Ma soprattutto perché nella sua strepitosa carriera di tennista, è stata una tennista, e basta. Figli di una furia minore.

Poi, c’è Lui.

 

Durante una partita di tennis il pubblico si aspetta spettacolo, agonismo, due giocatori che si massacrano per provare a superare i propri limiti, rabbia buona, quella che ti tiene in piedi, quella che ti fa vincere una partita nonostante i crampi. C’è un unico comandamento, lo conoscono tutti, sia dentro che fuori dal campo: “Tieni le tue emozioni sotto controllo, la furia è controproducente”. John McEnroe lo sapeva e non poteva farci niente, lui dalle emozioni su lasciava travolgere, soffocare. Urla, lanci di racchetta, imprecazioni contro chiunque: “Ti spacco questa racchetta tra le labbra, giuro che lo faccio”.

Per il giocatore statunitense ogni punto perso rappresentava una tragedia in miniatura, un pretesto per esplodere, per scagliarsi contro chiunque gli capitasse davanti al campo visivo.

Qualsiasi tennista in preda a una tempesta emotiva che si impossessa del suo braccio, reagisce rimanendo paralizzato, incapace di intendere e di volere, schiacciato tra l’impotenza e la frustrazione. McEnroe no, McEnroe si è sempre realizzato attraverso la violenza, la tortura interiore, l’immagine stessa del diavolo in corpo. Il pubblico ride e non capisce, lui soffre, si arrabbia, spacca sedie e racchette ma non va nel panico, rimane in campo, spesso gli capita di vincere.

 

McEnroe aveva il dono del tennis e non riusciva a gestirlo. Non ha mai avuto la normale quotidianità di Roger Federer, non si allenava mai, non aveva bisogno di provare i colpi: “La ripetizione è appannaggio dei bisognosi, non dei talentuosi”, ma è stato il primo vero ribelle in uno sport di parrucconi, dove dopo di lui tutti hanno trovato un tennis diverso e la strada spianata allo show, e a provare ad essere ribelli ed alternativi, tutto è stato, dopo, più facile.

Perché era passato già lui, the Genius. Il secondo miglior braccio sinistro, dopo quello di Dio.

 

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