Genitori vs figli: battaglia infinita,inutilmente combattuta

di Fabio Tomei

“Mio padre m’ha ditto, ca ‘o pate l’ha ditto,
ca ‘e figlie se vasano ‘nsuonno..
Adesso capisco pecchè, si me vasa,
me pare ca me metto scuorno..
‘E figlie si dormeno, nun ponno sapè
si ‘o pate po’ se ll’ha vasate..
Quann’ero guaglione, i’ desideravo
‘sti gesti d’affetto ‘e papà..
Lui, condizionato de’ ditte d’o pate,
nun è riuscito a mmè fa’..
P’aspettà ca papà me venev’a vasà,
quanti notte so’ stato scetato..
Po’ quanno veneva fingevo ‘e durmì
e nun m’ò putevo abbraccià..
Tenevo paura ca se mi scopriva,
po’ nun m’ò veneva cchiù a da’..
‘E figlie si dormeno, ‘un ponno sapè
si ‘o pate po’ se ll’ha vasate..
Mio padre m’ha ditto, ca ‘o pate l’ha ditto,
ca ‘e figlie se vasano ‘nsuonno..
Però certi detti, son detti sbagliati,
è inutile a ce girà attuorno..
I’ so’ stato figlio, ma mò, songo pate,
‘sti ’ccose me songo mancate..
Picciò, nun aspetto ca vanno a durmì,
I’ ‘e figlie m’è vaso scetate.”

Voglio cominciare l’articolo con questa, bellissima, poesia di Lello Florio, poeta, attore artista napoletano, per parlare del rapporto “genitori-figli” in merito a quella Teoria particolare della psicologia chiamata “comportamentismo”, interessata a studiare i processi alla base degli apprendimenti osservando i comportamenti. Alcuni studiosi, attraverso esperimenti sugli animali, avevano notato che un determinato comportamento tende a ripetersi nel tempo se le conseguenze sono positive per il soggetto, mentre tende ad estinguersi in caso contrario, cioè se le conseguenze sono negative. Ciò che porta, quindi, ad un incremento del comportamento si definisce “rinforzo”.

Ciò che porta, invece, a estinguere un comportamento prende il nome di “punizione”.

Comincio con le parole della poesia per poi dare appuntamento alla fine dell’articolo dove questi versi troveranno la loro applicazione logica.

Ovviamente parlo del rapporto in merito a quello che è il mio ruolo di insegnante di attività sportiva: chi di noi, almeno una volta nella vita, non ha sentito il papà o la mamma di turno, venire e riferire questa frase “Maestro mi dispiace ma siccome a scuola non va, io lo metto in punizione e lo tolgo dalla palestra…” alla scuola potete sostituire il “mi risponde male” o “fa sempre a botte con gli altri” o, ancora, “è disordinato e non rispetta nessuno…”.

L’attività fisica è considerata spesso , erroneamente, un premio e quindi, per abitudine educativa, utilizzata molte volte come punizione, senza riuscire a comprendere che, in effetti, si tratta di una necessità!

“Mens sana in corpore sano” contiene in sé una profonda verità che diviene ancor più realistica se associata all’infanzia e all’adolescenza. Abituare il proprio figlio ad un’adeguata gestione tra scuola e sport è la strategia educativa vincente che punta sul senso di responsabilità, stimolando le capacità organizzative e l’autonomia del bambino e del ragazzo.

Il desiderio di essere puntuale al proprio allenamento stimola ad organizzarsi, a tirare fuori le proprie capacità gestionali. È importante per i genitori imparare ad utilizzare i desideri dei bambini e dei ragazzi come stimolo e non come fonte di punizione, questo al fine di ottenere risultati duraturi e non semplicemente associati al momento punitivo.

Paradossalmente e personalmente credo che le punizioni date dai genitori siano una grande illusione che non serve ai figli e che autogiustifica il proprio ruolo sociale genitoriale davanti all’inadeguatezza delle risposte (in alcuni casi assenza proprio di risposte) che in realtà sono veramente utili ai figli.

I genitori sono figure così uniche e speciali per un figlio o figlia (i nonni sono 4, ci possono essere tanti zii o zie, fratelli o sorelle, cugini eccetera ma biologicamente esistono solo UN padre ed UNA madre) che da loro si aspettano solo empatia completa, comprensione, capacità di ascolto.

Il paradosso è che le punizioni dovrebbero assegnarle magari gli insegnanti (se mai accertassimo che hanno una funzione) ed alcune già sono implicite in quelle che chiamiamo “regole” che siano regole sociali, che siano scolastiche o sportive; ma mai i genitori se non vogliono correre il rischio di raccogliere rabbia e rancore un domani.

Le punizioni sembrano funzionare alla grande per risolvere una situazione nell’immediato: la maggior parte dei bambini si cristallizza davanti a un urlo ben piazzato, si congela davanti all’umiliazione di essere messo all’angolo o di allontanarsi dalla stanza o dal gruppo di compagni, si deprime e si addolora (per usare un eufemismo) vedendo il proprio genitore infuriato, infastidito o deluso.

Ma a lungo termine cosa comportano le punizioni? Sappiamo tutti molto bene come, appena girato lo sguardo, il bambino sembra dimenticare la punizione o l’urlo o la minaccia e sia pronto per tornare all’occorrenza a ripetere l’azione per cui era stato sgridato o punito.

Come se si dimenticasse, come se di punizione in punizione diventasse sempre più immune (bene, vuol dire che il suo sistema di difesa funziona alla perfezione!). E quindi, ogni volta è tutto da rifare con grande rammarico e fatica da parte di mamma e papà.

Ci si accorge che dare punizioni ripetute e di fatto che queste divengano quasi automatiche non porta alla risoluzione di comportamenti che possiamo giudicare “negativi” o, se vogliamo, inidonei; ed allora perché si continua ad infliggerle?

Non si sa perché, ma una cosa così innaturale come la punizione lascia in chi la infligge una sorta di soddisfazione, una sensazione di rilassamento… Siamo dei mostri? Niente affatto!

La punizione fa il suo “sporco” lavoro. Fa quello per cui è nata: aiuta l’artefice a liberarsi da un’emozione negativa (rabbia, nervosismo, impazienza…).

Si è mai notato che, anche se può dispiacere, dopo che è stata inflitta si tira un sospiro di sollievo? Ci si sente alleggeriti?

La punizione serve unicamente a chi la infligge per sfogare la tensione emotiva, per scaricare la rabbia, per sentirsi più forte, per avere la sensazione di avere tutto sotto controllo così da soffocare e negare la vera emozione sottostante (il disagio per non saper gestire il figlio, il nervosismo, la rabbia, la paura di essere prevaricati, il fastidio di sentirsi dire di no, di non essere ascoltati, ecc.).

Quando entra in gioco il meccanismo della punizione e del rinforzo negativo, per il quale si ritiene che interrompere un’attività piacevole obbligherà automaticamente un figlio ad impegnarsi di più, succederà che il bambino o ragazzo si mostrerà ancora più frustrato e demotivato di prima. Se è vero che per lo studio è necessario metodo ma anche concentrazione, il pensiero di non poter giocare con i compagni risulterà un pesante fardello che accompagnerà la sua mente per molto tempo durante la giornata, compreso, ovviamente, il momento dello studio.

Quando i bambini incontrano difficoltà scolastiche, lo sport, non è mai un rischio o un aggravante, bensì uno strumento potente e intelligente che i genitori hanno tra le mani per poter rendere il figlio/a maggiormente responsabile e consapevole dei propri mezzi.

Privare il ragazzo o ragazza di un allenamento o una gara per punizione significa incrementare il senso di modesta autoefficacia che già consegue frequentemente ad un rendimento scolastico non positivo (“tanto non ci capisco nulla”, “non faccio le operazioni di matematica perché sono troppo difficili per me” etc.)

La chiave di lettura per affrontare la difficoltà scolastica è da individuare nel metodo e nell’organizzazione dei momenti di studio, verso i quali anche la palestra potrebbe positivamente contribuire modellando i momenti per l’attività sportiva in modo più congeniale ai ritmi di studio e dialogando continuamente con la scuola e le famiglie allo scopo di rendere l’attività sportiva un impegno in grado di stimolare nel bambino e nel ragazzo la progressiva crescita delle proprie competenze non solo tecniche e sportive ma anche sociali e cognitive, in primis per quel che concerne la possibilità di “allenare” anche la propria capacità di concentrazione.

La punizione non ha nulla a che fare con il bene del figlio. Non è mai per lui una lezione da cui può imparare qualcosa (o meglio, una cosa la impara bene: assorbe questo comportamento e di conseguenza userà lui stesso le punizioni nel relazionarsi con gli altri, compreso il genitore!!!) quindi potrebbe mettere in atto comportamenti destabilizzanti per punire i propri genitori.

Le punizioni costituiscono un trauma e insegnano ai figli che, a loro volta, da adulti adotteranno lo stesso metodo.
I figli percepiscono i genitori come un riferimento, l’unico, il più importante. Ai quali chiedono amore, comprensione, aiuto, protezione.

Se, invece di capirlo (andando sempre alla sua motivazione profonda), di aiutarlo a risolvere la sua difficoltà, di evitare di giudicarlo, lo si punisce, per lui è un trauma.

Non sto esagerando. Sappiamo che forse per molti genitori i traumi violenti sono altri, per esempio una brutta caduta, un lutto, un grande spavento, una grave violenza e che la punizione non può essere annoverata in questo elenco.

Dico, dal più profondo del cuore che non è così: la punizione rappresenta un trauma per il bambino/ ragazzo. Avete mai provato a distanziarvi per un attimo dalla vostra rabbia, dal vostro fastidio subito dopo aver punito vostro figlio per fermarvi e guardarlo?

Cosa vedete? Avete mai provato a guardarlo negli occhi mentre lo fate? Forse vi è sembrato ma non lo avete fatto veramente.

Perché, se così fosse, vedreste nei suoi occhi la paura, l’umiliazione e in certi casi la disperazione. Sentireste una morsa al petto così forte, ricevereste uno schiaffo morale così lacerante che ci pensereste davvero più di una decina di volte all’occasione successiva, prima di ferire i suoi sentimenti.

Quello che voglio proporre con questo articolo è proprio aiutare a conoscere la loro natura e a dare le giuste soluzioni così che possiate avere dei buoni strumenti per sostituire tutti quegli atteggiamenti che lo danneggiano. Non sentitevi in colpa se fino a ieri le punizioni erano il vostro pezzo forte.

Annulliamo i sensi di colpa, cerchiamo una strada nuova, fatta di comprensione, di equilibrio, buttiamoci alle spalle il passato.

Non avete di fatto responsabilità: forse non sapevate cos’altro fare e magari anche voi da piccini siete stati vittima di punizioni più o meno dure. (ed ecco che ritorna la poesia iniziale ” Mio padre m’ha ditto, ca ‘o pate l’ha ditto…”)
Proprio le persone per le quali si dovrebbe essere sempre speciali, fanno capire che si è sbagliati, cattivi, inadeguati. Ed allora come si fa a tenere alta l’autostima? Come si può fare affidamento sulle proprie capacità, se mamma e papà sono i primi che non credono nei loro figli?

Figli che, sempre secondo il mio modesto parere, non hanno bisogno di punizioni ma di REGOLE chiare, semplici e applicabili, hanno bisogno di persone (i genitori) in grado di dare ESEMPI, di prendere decisioni, chiare, semplici ed inequivocabili : il “non lo so”, “vediamo”, “forse”, “se”… non servono, sono fumosi, creano confusione.

Purtroppo la gran parte dei genitori oggi sono perlomeno “inadeguati”, oserei dire “fragili”, non sanno prendere una posizione netta, non sanno porre un “no” con fermezza ,da non confondere con autoritarismo, dove un “no” (Ma anche un “si) va argomentato e sviscerato nei suoi vari aspetti (il famigerato “no perché lo dico io…” è devastante) ed una volta presa la decisione va mantenuta con dolcezza e fermezza, non si possono lanciare messaggi contraddittori…

I ragazzi che hanno comportamenti aggressivi, li hanno perché sono repressi, perché si dicono “no” senza giustificarli come se fossero una promozione da supermercato (il tre per due); perché arriviamo a casa così stanchi che non abbiamo tempo e voglia di ascoltarli, perché loro sono “piccoli” e così anche i loro problemi, e se vanno male a scuola non ci chiediamo qual è il disagio in quell’ambiente dove i nostri figli rendono poco ma pensiamo bene di toglierli dall’ambiente dove magari eccellono: lo sport… se non è paradossale questo…

I ragazzi e le ragazze che hanno comportamenti aggressivi e intolleranti assorbono la tensione che si vive in casa, magari di conflittualità tra i due genitori, anche quando questi conflitti non sono così evidenti, plateali, pubblici; i nostri figli “sentono” che qualcosa non va e accumulano tensione che prima o poi esploderà

Ecco perchè poi si arriva a litigare per “sciocchezze”, nel senso che la pentola a pressione interiore è così piena che basta un piccolo evento quotidiano (la famosa goccia che fa traboccare il vaso) per scatenare rabbia e liti.

So che è stata un’ampia dissertazione, e so che non è facile, ci vuole una grande capacità di equilibrio e di mediazione, ma in tutto questo c’è un’altra grande capacità che ci viene in aiuto: l’amore smisurato che abbiamo per i nostri figli, ecco quello non va nascosto, va palesato, i figli vanno abbracciati, devono sentirsi protetti dai genitori sempre e comunque, non giustificati ma mai giudicati: si sta dalla parte dei figli anche quando sbagliano.

In questo caso, molte volte, ci troviamo di fronte allo sbigottimento dei nostri figli, i quali pensavano di poter trovare in noi le persone che di più al mondo si sarebbero spesi nel cercare di capirli, di vivere insieme il loro disagio, di persone che in ogni caso non avrebbero giudicato, umiliato, sottovalutato…

I figli vanno abbracciati e vanno abbracciati da svegli…

Picciò, nun aspetto ca vanno a durmì,

I’ ‘e figlie m’è vaso scetate…

AH!… e per le punizioni lasciate fare a noi maestri…

SITOGRAFIA:
Per la redazione dell’articolo mi sono avvalso di spunti da articoli di: Roberta Cavalli www.bimbiveri.it
Fabio Ciuffini www.psicologoalavoro.blogspot.com
Serena Costa www.serenacosta.it
Daniela Sepio www.albertocei.com

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