di Paolo Corti
Immagino che leggendo il titolo, se normalmente l’interesse in una scala da 1 a 10 possa essere 5, probabilmente per tutti quelli che hanno un figlio o allenano dei giovani ragazzi sarà salito almeno ad 8.
Purtroppo, dovrò inizialmente disilludere le alte aspettative del titolo ma cercherò di recuperare poi nel finale dell’articolo, perché l’illusione da me proposta e indotta si basa su una comune e falsa credenza: quella di pensare che esista una ricetta per tutti, capace di trasformare un qualunque giovane sportivo in un campione del domani. Le false credenze ci spingono spesso a fare scelte – cognitive comportamentali – a fin di bene ma con risultati scadenti e a volte disastrosi. Per allenare un giovane sportivo bisogna tenere ben presente alcuni fattori, tra i quali: quelli motivazionali ed evolutivi legati all’età.
Oggigiorno siamo ormai abituati ad una forma di educazione che è basata sul “successo precoce”. Prima il giovane raggiunge l’obiettivo e più significa che le sue capacità psicofisiologiche sono di qualità. Questa sorta di mentalità è più evidenziata e marcata nella parte occidentale del nostro pianeta.
Fin dalla primissima età infantile, le mamma e i papà si vantano di quanto precoci siano i loro figli nel fare tutto prima: “ah, mio figlio ha iniziato a camminare già a l’età di …”, oppure “lui il pannolino lo ha voluto togliere subito” come se l’infante fosse già capace di prendere decisioni autonome. Insomma, sembrerebbe valere l’idea che per raggiungere un qualsiasi obiettivo “se lo faccio prima è meglio”!
Sappiamo spesso, soprattutto tra chi è addetto ai lavori, che invece non è proprio così. Gli studi dicono che essere troppo precoci nel fare non è del tutto sano, il nostro fisico e il nostro cervello devono avere il tempo necessario per maturare le necessarie capacità per apprendere le abilità richieste. Per esempio, far togliere il pannolino troppo presto a un bambino potrebbe provocare una serie di difficoltà tipo:
- dare origine a delle disfunzioni nel fare pipì o pupù,
- un restringimento della vescica che può portare ad irritazioni o infezioni,
- un restringimento del retto di un paio di centimetri provocato dal trattenere le feci che si accumula nello stesso e che può dare spasmi all’intestino e quindi ad inconvenienti legati al farsela addosso più spesso.
E la lista continua, con ipotetiche o probabili conseguenze future per la salute del bambino.
Alexander Lowen, padre della Bioenergetica, fece uno studio sulla razza degli indiani d’America (comunemente conosciuti da noi occidentali come i “pellerossa”) e spesso ritratti in foto in equilibrio su tavole su dei grattaceli in costruzione. Egli notò come questi non soffrissero di vertigini e la spiegazione da lui data fu che nell’età infantile non avevano sofferto da traumi da caduta: questo perché le loro mamme erano abituate a portarli a tracolla, avvolti in una specie di lenzuolo o fascia, e lasciando loro la possibilità di sperimentare senza pressioni esterne l’atto di mettersi in piedi. Così facendo questi giovani non hanno avvertito la paura dell’altezza.
Al contrario di alcuni loro coetanei che, vistisi alle strette per raggiungere prima la posizione eretta, ma con grandi difficoltà dovute alla poca forza sui loro arti inferiori, hanno forse imparato più a cadere che a rimanere in piedi. Per alcuni sarà stato probabilmente anche divertente per altri invece potrebbe aver creato un senso di paura del vuoto, di sfiducia interna (prodotta dal proprio fallimento) e un basso livello di autostima.
Quindi, a quanto pare nella parte occidentale del mondo, dal primo giorno in cui mettiamo i piedi a terra, veniamo misurati e valutati dal giudizio sociale che ha come imperativo il primato temporale: lo svilupparsi prima, l’iniziare e il terminare gli studi prima, diventare campioni sportivi prima del primo, etc…
Proprio nello sport questo fenomeno sembra essere ancora più pragmatico, incarnato e preso come paradigma dello sportivo.
Spesso, nel mondo sportivo capita di incontrare dei personaggi che avendo capito il bisogno inappagato di alcuni genitori e di giovani sportivi (ma non solo), propongono metodi dal successo assicurato e in pochissimo tempo quasi intendendo che sarà anche poco faticoso!! E quindi, come non approfittarne? La scelta è facile, un po’ come prendere una pillola che risolve tutti i problemi del mondo, la cosiddetta famigerata panacea. Sì perché, se posso allenarmi di meno e raggiungere risultati più brillanti in meno tempo, perché fare diversamente? Ma questo è un altro aspetto mentale che andremo a vedere in un altro momento.
Tuttavia, ogni cosa va affrontata a suo tempo. La maggior parte della letteratura sportiva sostiene che i bambini dai 6 agli 11 anni dovrebbero praticare molti sport e viverli come gioco, come divertimento, invece sono già inquadrati, tecnicizzati, specializzati e chi è bravo va avanti e gli altri? Spesso vengono dimenticati e lasciati indietro. Dopo questa età, tra i 12 e 15 anni si dovrebbe iniziare con una leggera specializzazione nello sport scelto e solo dopo aver raggiunto lo sviluppo, sia fisico che psichico, si può iniziare con una specializzazione vera e propria.
La maggior parte delle volte non è così, quando i giovani atleti dovrebbero iniziare la specializzazione cioè intorno ai 15/16 anni, essi abbandonano. Questo perché l’hanno già affrontata prima, ma con scarso successo.
Per ogni età c’è una fase detta appunto “sensibile”. Se per esempio un giovane di 9 anni viene allenato sulla resistenza allo sforzo invece che sulle capacità coordinative il risultato sarà probabilmente scadente, al contrario invece, se si vanno ad allenare gli aspetti sensibili di quell’età.
Quindi il segreto è questo: “il successo va prima capito e poi allenato!”
Esatto, se i giovani atleti si percepiscono efficaci in quello che provano nella pratica, il loro senso di fiducia cresce e di conseguenza la loro self efficacy aumenta.
Concludo dicendo che, per avere un campione nello sport e soprattutto nella vita, non si deve avere fretta di specializzarlo nella sua disciplina sportiva, ma prima bisogna farlo appassionare al suo sport con il divertimento e seguendo i consigli dell’istruttore che deve avere come obiettivi quelli di crescita e non di vittoria.
Roger Federer ne è un esempio su tutti, normalissimo giocatore da giovane e poi, il resto è storia!!!