di Alessandro Perrone
Evgeni Kafelnikov, ex numero uno del mondo, primo russo a salire al vertice del tennis, con un tweet ha annunciato la morte di Alexsander Volkov, che improvvisamente ha perso la vita nella sua casa di Mosca.
Aveva 52 anni. Volkov era un giocatore molto talentuoso, vinse tre tornei, incluso quello di Milano, diede il meglio di sé agli US Open e in Coppa Davis. Da allenatore era stato al fianco di Marat Safin, che anche grazie a Volkov vinse due Slam e divenne numero uno del seeding per 9 settimane, tra la fine del 2000 e l’inizio del 2001.
Mancino. Il suo mancinismo era parte della sua “leggenda”. Lui ci scherzava sopra, ma quando cadde in un burrone a 15 anni, per un gioco maldestro, e si spaccò totalmente il braccio destro smettendo di giocare per mesi, non penso che avesse riso affatto. Pensava di dedicarsi all’hockey, altro sport a lui molto caro, ma per scommessa al suo tennis club di Kaliningrad imbracciò la racchetta col braccio sinistro, e boom. La impattava, eccome se la impattava. Nel giro un anno e mezzo tornò ai tornei veri, e poco più che teenager iniziò a raccogliere grandi successi.
Divenuto professionista nel 1988, si aggiudicò il primo titolo nel 1991 a Milano battendo in finale Cristiano Caratti. Sempre in quell’anno raggiunse le semifinali a Båstad, Basilea, Tolosa e nella Kremlin Cup a Mosca.
Nel 1992, dopo aver sconfitto tra gli altri Goran Ivanišević e Brad Gilbert, si spinse fino ai quarti di finale degli US Open dove nulla poté contro Pete Sampras: perse infatti in tre rapidi set (6-4, 6-1, 6-0).
Aprì il 1993 facendo suo il torneo di Auckland, successivamente giunse in semifinale a Rotterdam, Indian Wells, Durban, Rosmalen e soprattutto agli US Open dove venne nuovamente fermato da Pete Sampras. In quell’anno salì in classifica alla quattordicesima posizione.
Nel 1994, dopo aver aperto la stagione con la finale di Adelaide persa contro il connazionale Evgenij Kafel’nikov, vinse il suo terzo e ultimo torneo della sua carriera, a Mosca.
Nel 1998 annunciò il ritiro (fonte wikipedia)
Il mondo del tennis piange il suo atleta, sui social sono arrivati tanti ricordi, tra cui spicca quello di Boris Becker che lo batté a Milano nel 1989, quando il russo disputò la prima finale della sua carriera.
Il sottoscritto ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo a Milano giocare e, bisogna ammetterlo, era di una altra classe, un modo unico di colpire la palle, era incredibile con quale facilita’ creava le accelerazioni con il suo diritto. Colpi straordinari che gli hanno permeso di battere i migliori giocatori dell’epoca (Becker, Esberg, Lendl per citarne alcuni) ed arrivare al numero 13 del seeding.
Kafelnikov oggi lo ricorda con dolore, scrivendo “Ricorderò per sempre il tuo sorriso e le nostre partite insieme in Coppa Davis”. In realtà in campo non lo vedevamo sorridere molto. Era enigmatico, perso in quello sguardo intenso che trasmetteva quel pizzico di follia, genio e tensione tutta russa. Con la sua scomparsa il mondo della racchetta perde un tennista a suo modo irripetibile. Un giocatore che ha vinto molto meno di quel che suo talento poteva regalare. E come capita a tutti i geni incompresi, lo rimpiangeremo per sempre, ricordando quegli Ace improvvisi, quel dritto che frustava la palla, quel tocco che ti faceva sobbalzare sulla sedia. Ciao Sasha, mi mancherai.”
Addio Genio del tennis.