di Claudio Palazzo
In questo primo articolo, di una lunga serie, si racconteranno riflessioni di Coach Palazzo, secondo la sua esperienza pluriennale di atleta prima e coach dopo.
il rapporto tra atleta e coach e’ un rapporto che si costruisce nel tempo, il lavoro e’ “uno ad uno”, non puo’ essere di piu, almeno nel tennis, e’ una empatia che cresce nei momenti bui, cioe’ nei momenti in cui il giocatore non vince, li’ si crea il rapporto tra coach e giocatore.
Il coach deve essere un riferimento a livello emozionale per il giocatore, non un insegnante tecnico: la tecnica arriva dopo. Il giocatore deve fidarsi del suo coach. E come si arriva a questo? Lavorando insieme, faticando insieme, dividendosi le colpe insieme, ma non parlando, ma facendo capire al giocatore che segui che il tennis, purtroppo funziona anche cosi’.
Bisogna rimproverare quando si vince, confortare quando si perde, ma soprattuto bisogna pianificare dei momenti di tranquillità.
Il giocatore deve fidarsi di quello che dice il coach, non tanto per il colpo fatto bene o fatto male, ma perche’ si sta facendo quel lavoro: il giocatore deve essere parte integrante del lavoro fatto dall’allenatore. L’allenatore deve seguire il suo allievo, deve motivarlo, e deve fargli tirare fuori il talento che ha dentro, se lo ha, ma non imporgli un tipo di gioco che ha in mente il coach.
Io sono convinto che chi ha giocato a tennis ad un certo livello, livello abbastanza elevato, e ha lavorato sodo per raggiungere i suoi risultati, certe sensazioni, emozioni riesce a riportarle al suo allievo. Se prima ha fatto un percorso di epurazione, ha fatto la gavetta come allenatore, giocando con i bambini, con gli adulti, non smettendo di giocare da 25 e inventarsi subito come coach
Bisogna maturare nel tempo e capire i meccanismi intrinsechi del gioco del tennis.
Inoltre, cosa fondamentale, e’ di avere la capacita’ di capire che tipo di coach sei; uno puo’ essere un ottimo coach giovanile (under 12 o 14), o di livello un po’ piu’ alto (ad es. un coach da seconda catergoria), oppure un coach professionale: non bastano brevetti o corsi youtube per diventare un coach di questo livello.
Certo se ti capita un giocatore forte e cresci con lui, allora puoi saltare qualche passaggio, ma se la tua natura e’ quella di non poter essere di livello alto, devi accettare quello che sei.
Invece oggi come oggi tutti vogliono fare il coach del giocatore forte, piu’ o meno motivati o adatti.
Ma la cosa piu’ importante, non e’ a che livello fare il coach, ma quello che tu riesci a fare e a trasmettere ai tuoi ragazzi: si possono creare tantissimi terza o seconda categoria. Invece ai nostri giorni per coach si intende solo quello che va in televisione, diventa determinante per la professione di coach il passaggio mediatico, e questo e’ un grosso errore.
Inoltre tantissima gente insegna senza sapere esattamente quello che sta facendo, ma solo perche’ lo ha visto fare agli altri.
Il compito di un allenatore, a qualsiasi livello, e’ di capire chi hai davanti, chi sei tu, fino a dove volete arrivare e fare di tutto per accompagnare il tuo allievo li’.
Queste mie esperienze le ho maturate portando ragazzi under 12 a fare finali a 4 nei campionati a squadre, giocatrici prese da scuola SAT e portate a livello WTA, oltre ad aver allenato tantissimi giocatori di seconda/ terza categoria e giocatori forti di circolo.
Per ognuno ho fatto un lavoro diverso che mi ha aiutato a crescere.
Più tutto quello che ho fatto come giocatore, sia da solo, o usufruendo di consigli di altri coach. Soprattutto da qualche anno confrontando le mie allieve con giocatrici, e confrontandomi con altri coach per poter avere sempre nuovi metodologie di allenamento e sfruttare il meglio che questi altri coach hanno fatto durante la loro carriera.