US Open 2019 La bolla infranta

di Massimo D’adamo

Alla mia età la nostalgia è sempre dietro l’angolo! Quella dal sapore agro-dolce che ammanta i ricordi di una opacità impalpabile e concede al passato un ruolo migliore di quanto in realtà abbia avuto.

Una bolla di sapone nella quale anche il tennis conserva il suo angolo surreale, alimentato dall’idea che il gioco svolazzante e multicolore di Nastase e Mc Enroe fosse migliore di quello malmenato e monocromatico dei giorni nostri. Una piccola ossessione circa una bellezza ormai eclissata oltre la quale non ci sarebbe che il nulla. La retrospettiva sorvola,naturalmente, sui Dibbs, i Solomon e altri pedalatori doc, tanto per non abbassare la media delle mie illusioni estetiche sul tennis che fu.

Poi accade, che una notte di settembre, io sia investito in pieno da immagini rocambolesche provenienti da New York . Cinque ore per una montagna di punti sballottati tra Rafael Nadal e Daniil Medvedev in un crescendo impetuoso degno del miglior Wagner. C’è posto per tutto: recuperi straordinari e ribaltamenti improbabili; discese a rete e smorzate spaccagambe,fino a match point prima annullati e poi tradotti in trionfo. Roba da sgranocchiare gli occhi davanti a uno schermo tv dentro il quale i due se le danno di santa ragione senza lesinare qualità , fisiche, tecniche e nervose.

Sarebbe un pareggio se a suon di vamos uno dei due non odiasse perdere anche a flipper e che una volta nella lotta si illumina di special e stelline luccicanti senza andare in tilt!

Un confronto giunto con l’effetto di uno spillo su quella bolla che gelosamente custodisce il mio tennis dai gesti bianchi, frantumandola e liberando schietto apprezzamento per un gioco che finalmente sta uscendo dal suo randellamento compulsivo per ritrovarsi in piacevoli sprazzi di spettacolarità che fanno bene all’occhio. In completa astrazione, di lì a poco il telecronista mi ha svelato che Nadal è uscito vincitore da tutto quel ben di Dio e che lo slam appena carpito è il suo diciannovesimo, a un passo dai venti custoditi nel prezioso carniere di Roger Federer. Un numerino al quale lo spagnolo, che vive la sfida come un pesce nell’acqua, ha rivolto da tempo mire neanche troppo velate.

E ormai fuor di nostalgia, mi lascio andare a qualcosa di scontato per dire che, a dispetto di quanto affermano vecchi campioni, i moderni fab, sono il meglio del meglio espresso dall’era open di questo sport. Fossero nati in epoche diverse ognuno di loro avrebbe dominato la scena più di quanto non abbia fatto.

Siamo fortunati che iI fato li abbia riuniti in questo periodo storico lanciandoli in un gioco al sorpasso che ha lievitato la prestazione ai livelli di quella appena andata in onda sull’Arthur Ashe di Flushing Meadows. E mi piace pensare che in un futuro prossimo, tale livello non sia facilmente oscurabile dal nuovo che avanza, così tra qualche anno potrò tornare nella mia amata bolla e ripensare con rimpianto al tennis degli anni 2000 come al migliore di ogni tempo.

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