US Open 2019: Ha ragione Woody Allen?

di Massimo D’Adamo

‘…su e giù per un campo, una palla se ne va serafica qualche spanna sopra la rete. Lo fa lentamente, richiamando l’immaginario collettivo al fluire degli eventi. Sarà un net improvviso a librarla per l’aria, lasciando al fato la scelta del resto! Cadrà… ma solo in ultimo sapremo come !’

Così andava in scena la metafora di buona o cattiva sorte, assunta da Woody Allen nel film, Match Point, un thriller del 2005 che, in bilico tra il vincere e il perdere, affidava il finale alla casualità degli eventi.
Un’ occasione ghiotta per tornare alle splendide opportunità passate per le mani di Matteo Berrettini sul 4/2 e sul 6/4 in suo favore nel tie break del primo. Fosse andata come doveva, potevamo scrivere un’altra storia! E invece un diritto di misura e un Nadal sempre più demone hanno forzato la sorte verso un epilogo discorde da quello sperato.
Fin quì il messaggio del film! Ma il cinema, si sa, è l’arte della finzione, perciò è lecito chiedersi se l’esistenza sia anche una questione di scelte o se, invece, sia appesa ai volubili umori della dea bendata. ‘La fatalità c’entra sempre’, direbbe il regista neworkese senza offrire il fianco a dubbi. Sarà così, ma nel caso dell’italiano, più che di una tantum fortuita parlerei, ormai, di un trend ben marcato, fatto di vittorie e piazzamenti di grande spessore, frutto di tanti dettagli presi in cura dal suo entourage.
Con buona pace di Woody Allen, la grande prova americana del nostro eroe, regala al tennis italiano la certezza di un campione ricco di anima e grande continuità. Un bel giocatore che non si alimenta di exploit e che finalmente vive il campo senza costrizioni, lontano dagli atteggiamenti stuferecci di qualche big nostrano.

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