Le macchie di Wimbledon

di Massimo D’Adamo

Cala il sipario in Church Road, e tra emozioni ancora vive, un senso di vuoto reclama la sua parte di mestizia. In un clima ovattato, applausi scroscianti giungono come tenui brusii mentre palline giallastre se ne vanno di colpo in colpo prive di rumore. Bianchi fantasmi si muovono qua e là tra righe immacolate e un brulicare di visi chiede solo di stupirsi. Dalle tribune del Centrale, un “ooh” breve boccia l’ odiato doppio fallo mentre un “oooohhh” più lungo corona un passante andato a segno. Un “ooooooohhhhh” protratto all’infinito farà il verso a solito svarione. Il verde dei campi si lascia andare a macchie color dell’ocra che, come foto ormai datate, sembrano dirla lunga su vite vissute e stili di gioco. Aloni sbiaditi dalla vaga forma di sogliola rivelano che il gioco dei giorni nostri ama la spola da un lato all’altro zompettando laggiù nel fondo campo.Sotto l’arbitro, un viottolo tradisce cambi di campo reiterari e passaggi di fisioterapisti dal fare assai pacioso. Isolette in zona tattica, accolgono solerti raccattapalle acquattati come gatti e lungo il perimetro più lontano, spazzi ridotti fanno da habitat naturale a giudici di linea precisi e compassati. Da un po’ di anni manca lo struscio che dal fondo conduce verso rete. Proprio lí, dove, in tempi andati, la grande macchia amava accogliere campioni, tra i più audaci. Oggi, il verde immacolato in quei paraggi racconta che McEnroe, Pet Sampras e Stefan Edberg coltivano,da tempoi, altre passioni.
Pian pianino, anche questo Wimbledon se ne andrà in soffitta col suo carico di eroi vestiti di bianco e tutto finirà per tacere. Ma luglio 2020 è assai lontano, e allora sssst…. non resta che sognare.

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