di Nadia Sella
Quando un genitore iscrive il proprio figlio di 6 anni alla scuola tennis non sa cosa lo aspetta.
La motivazione sicuramente nobile è di avvicinare il proprio figlio allo sport perchè fa bene. Personalmente aggiungo che il tennis aiuta non solo dal punto di vista fisico ma svolge anche una funzione educativa importante
- Ti abitua al confronto con l’altro
- Ti insegna che nella vita non sempre c’è qualcuno che ti aiuta e che certe cose
le devi affrontare da solo - Ti allena a diventare più forte e autonomo.
Ciò premesso però, se hai un figlio che se la cava e inizia a giocare i primi tornei e magari a vincerne qualcuno, iniziano le difficoltà.
Si pensa che siano i figli a dover maturare ed è vero perchè è il figlio che deve diventare un tennista, ma allo stesso tempo anche i genitori devono diventare genitori di un tennista.
Partiamo da un concetto di base.
IL TENNIS CREA DIPENDENZA
Significa che, se hai un figlio che vince è molto piacevole, gratificante, ti da emozioni che non vedi l’ora di riprovare e quindi tendi a far giocare troppi tornei a un bambino che sta vincendo, spesso anche con l’avvallo del maestro.
Il fatto è che nel tennis si perde sempre, le percentuali di vittoria sono molto basse:
- 50% perde al primo turno
- 25% perde al secondo turno
- e cosi’ via.
In un tabellone medio di 32 iscritti solo lo 3,2% vince e la percentuale scende all’1% in un tabellone da 100 iscritti di cui 99 perdono (In statistica, la probabilità di un evento è data dal rapporto tra il numero di casi favorevoli e il numero dei casi possibili).
Per questo i genitori dovrebbero conoscere l’attività di un giocatore professionista tra i primi 50 al mondo e verificare quante sconfitte normalmente subisce un ottimo giocatore rispetto alle vittorie. Rimarrebbero sorpresi nello scoprire che anche il numero 1 al mondo ha più sconfitte di quelle che pensavano.
Eppure perdere al 1° turno viene sempre vissuto come un fallimento e ci vuole molta consapevolezza per riuscire ad analizzare i fatti in modo obiettivo.
Si tende a dire al figlio “hai giocato bene hai vinto, hai giocato male hai perso”.
Nella realtà non è quasi mai così, i fatti che portano ai risultati sono dettati da una serie di fattori e di casistiche che non sempre rispecchiano i valori tecnici
(specialmente a livello femminile).
Non sto dicendo che la sconfitta deve scivolare via facilmente, (solo i campioni riescono a farlo) ma che è indispensabile quanto la vittoria e va accettata di buon grado con molta normalità.
……… E QUESTO E’ SOLO IL PRIMO PASSO
Normalmente nel processo di crescita di un tennista ci sono gli alti e bassi alcuni esempi comuni sono:
- i momenti di crescita fisica destabilizzano perchè tolgono i riferimenti
- Le emozioni che bisogna imparare a conoscere e ad accettare:
“ho paura ad affrontare la partita”.
La paura viene sempre vista in modo negativo in realtà quando una persona ha paura ha i sensi a mille quindi è più vigile e concentrata e nel tennis questo serve e molto
anche,bisogna solo accettarla come parte del gioco. La paura diventa negativa se è troppa e addiritttura diventa positiva quando si trasforma nel “piacere della sfida”. Si
teme l’avversario da una parte e dall’altra non si vede l’ora di sfidarlo.
“ho vinto un torneo sono forte”
La bellezza del tennis che ti permette di rimetterti in gioco sempre, ha il rovescio della medaglia. Hai appena vinto un torneo e magari la settimana dopo perdi al primo turno.
Tutte queste emozioni contrastanti tolgono certezze al ragazzo che non sa più se è forte e bravo abbastanza ed è qui che il genitore deve essere solido ed equilibrato e non deve farsi prendere dalle emozioni.
Una riflessione che mi sento di fare è questa:
“quando vostro figlio vi sembra che non si stia impegnando ponetevi questa domanda: “pensate che vostro figlio volontariamente voglia perdere?”
Nessuno quando entra in campo vuole perdere volontariamente anche il socio del circolo di 70 anni, se questo accade sono altri i motivi sicuramente non la volontà di perdere.
I MOMENTI DI FERMO
Ci sono periodi dove sembra che non si proceda non si raggiungono le classifiche desiderate si è demoralizzati e invece di stringere i denti e proseguire si cercano le cause o scuse.
Molti genitori attribuiscono agli allenatori la responsabilità e tante volte è vero però la domanda doveva essere posta anche prima quando il figlio otteneva risultati.
Questo allenatore:
- ha i requisiti e le credenziali per essere un buon allenatore?
- è in sintonia con mio figlio?
- cosa ha fatto di concreto che posso verificare che mi dia queste indicazioni?
Tante volte un bambino dotato nei primi anni di attività raggiunge risultati perchè basta poco per vincere. Quando invece andando avanti servono più competenze e l’essere sveglio e dotato non basta più, avere una persona vicino che ti sa insegnare è essenziale.
Come del resto la causa può essere anche del figlio che in quel preciso momento della sua vita non riesce a superare quello step.
Altra ipotesi è che il figlio abbia dei limiti oltre i quali non riesce ad andare.
Tutte queste considerazioni vanno fatte prima di prendere decisioni, i cambi sono spesso traumatici e in giro ci sono tanti imbonitori che dicono ai genitori quello che vogliono sentirsi dire.
Personalmente ritengo che un buon maestro, il buon senso, un buon equilibrio famigliare e la conoscenza del figlio per il primo periodo di attività siano più che sufficienti per far progredire e crescere bene il figlio.
La prossima volta parlerò di cosa penso degli allenamenti.