IL blog del tennis incontra … Stefano Galvani

di Alessandro Perrone

Siamo insieme a Stefano Galvani, classe 73, giocatore professionista fino al 2012.

Vanta tre presenze in Coppa Davis, due successi e una sconfitta, nei match contro Portogallo e Finlandia del 2002.

Ha partecipato ai Giochi dei Piccoli Stati d’Europa di Monaco 2007 rappresentando la Repubblica di San Marino conquistando la medaglia di bronzo nel singolo e l’argento nel doppio maschile con Domenico Vicini.

Nell’edizione del 2011 in Liechtenstein ha ottenuto un altro argento nel doppio e una medaglia d’oro nel singolare.

E’ arrivato numero 99 del ranking nel 2006.

Grazie per aver accettato la nostra richiesta di intervista.

Come e’ stato il tuo primo incontro con il tennis?

Ricordo che seguivo mio papà nei tornei e quando aveva la coppa a squadre con il CUS
Padova. Mi piaceva guardare le partite e se mi annoiavo avevo comunque la mia racchetta a e
andavo a giocare contro il muro…

C’e’ qualcuno che agli inizi della tua carriera ti ha aiutato in modo particolare per ruscire ad ottenere questi risultati? Avevi qualche idolo quando eri giovane?

Le persone che devo ringraziare sono veramente tante. Per primo devo ringraziare la mia
famiglia che ha fatto tanti sacrifici e non solo economici per farmi giocare a tennis. Poi un
ringraziamento particolare va alla Canottieri Padova e in particolare a Giancarlo Ratti e al
maestro Paolo Frasson che mi hanno sempre sostenuto. Senza l’aiuto della Canottieri sarebbe
stato difficile poter iniziare quel tipo di carriera. Quando poi sono diventato più bravo ho dovuto
prendere una strada diversa che mi ha portato ad allenarmi a Roma per 6 anni ma sono
comunque rimasto molto legato alla Canottieri Padova.

Come era il tuo gioco? Avevi un colpo preferito?

Il mio gioco è sempre stato cercare il punto da fondocampo. Non essendo alto fin da piccolo ho
dovuto imparare a vincere usando la testa e in tante soluzioni che ho imparato ad usare c’è lo
zampino di papà Attilio.

 Il ricordo più bello della tua carriera?

Il ricordo più bello è il torneo di Barcellona. Avevo sempre giocato alla pari con giocatori sulla
carta molto più forti di me ma non avevo mai vinto. Quella settimana vinsi con Nadal, Ramirez-
Hidalgo, Ljiubicic, Kafelnikov e persi una partita molto tirata (76 75) con Albert Costa che
qualche settimana dopo vinse il Roland Garros.

 Sappiamo che i tennisti sono molto superstiziosi, tu hai un rito scaramantico prima di andare in campo?

Prima di giocare ho una routine che effettuo regolarmente. Ho notato che se non la faccio non
ho le stesse sensazioni quindi un po’ per scaramanzia ma soprattutto per attivarmi ripeto una
serie di esercizi e gesti che mi fanno sentire più pronto e più sicuro.

 Il torneo che ti ha emozionato di più?

L’emozione tennistica più grande l’ho vissuta in Coppa Davis. Rappresentare la nazionale non
è come giocare un torneo individuale. Hai una responsabilità maggiore e giocare al meglio è
molto più difficile, se l’attenzione è rivolta a tutto ciò che sta all’esterno

 Sei stato definito “il giocatore che visse tennisticamente due volte”, vuoi spiegarci?

A settembre 2003 ho avuto un incidente in auto e un vetro mi ha praticamente tagliato l’occhio
sinistro. Sembrava dovessi perdere l’occhio ma per fortuna me la sono cavata con un trapianto
di cornea e 14 mesi di stop. Ovviamente non è più stato lo stesso da quella volta perché non
vedo come prima e ho problemi con troppa luce o con troppo poca luce perché è stata
danneggiata anche la pupilla. È stata durissima dover iniziare tutto da capo a cercare punti nei
tornei minori senza sapere se sarei mai riuscito a giocare come prima. Ricordo che all’inizio mi
capitava di mancare la palla, a ripensarci non è stato un bel momento ma mi è servito
moltissimo. Dopo un allenamento di 2 ore ero stanchissimo perché per poter colpire la palla
avevo bisogno della massima attenzione in ogni singolo colpo e questo a livello mentale mi ha
aiutato tantissimo e alla fine mi ha reso più forte.

 Al momento ci sono 3-4 giocatori italiani nei primi 100 del mondo, e non sono giovanissimi, come vedi la situazione futura del tennis italiano?

In Italia abbiamo diversi ragazzi che giocano bene a tennis. Personalmente mi piace molto
Matteo Berrettini per come gioca e per l’atteggiamento che ha dentro e fuori dal campo. E poi è
allenato da Vincenzo Santopadre…

A chi volesse intraprendere la carriera professionistica, cosa ti sentiresti di dirgli?

La vita del professionista è dura anche se a guardare i giocatori in televisione non
sembrerebbe. I momenti no ci sono per tutti e la differenza tra una persona normale e un
campione sta in come si affrontano questi momenti. Una volta hanno chiesto a Ivan Lendl
quale fosse la cosa più importante per giocare a tennis. Risposta: “imparare a perdere”

In conclusione, vedendo indietro nel tempo, come giudichi la tua carriera? Qualche rimpianto?

Non ho nulla da rimproverarmi. Certo potendo tornare indietro farei qualche scelta diversa ma
ho sempre dato il massimo. Avevo dei limiti, qualcuno l’ho superato e qualcuno no.. ancora
oggi continuo a cercare di migliorarmi (non solo nel tennis) e questo è quello che conta.
Quando c’è impegno e dedizione nelle cose che fai non c’è spazio per i rimpianti

Ora cosa fai? Sei rimasto nel mondo del tennis? Fai ancora tornei? Ti manca il professionismo?

Adesso spero di poter trasferire questa mia esperienza ai ragazzi più giovani. Lavoro al circolo
tennis Rimini ma ancora gioco qualche torneo perché la competizione mi piace.

Ti ringrazio del tempo che ci hai dedicato, un in bocca al lupo per il prosieguo della tua carriera di allenatore.

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