Oggi si parla tanto di “Resilienza”, cioè la capacità di perseverare nell’impegno, mantenendo stimoli e adattandosi in maniera elastica alle situazioni, facendo fronte ogni volta agli impedimenti che il percorso pone davanti. Se esiste un esempio vivente nel tennis dilettantistico attuale, questo non può essere altri che Marco D’Angelo, 34enne pometino, che si sta affacciando adesso, per la prima volta, nel circuito FIT.
A settembre si presenta ai campi in terra rossa del Roman Sport City un ragazzo che appare subito gentile, sorridente ed interessato a giocare un po’ a tennis. Ci ha giocato da bambino, dice, ora da tanti anni non prende in mano la racchetta. Si iscrive al corso collettivo trisettimanale con un entusiasmo che mi colpisce immediatamente. Nella prima lezione entra in campo con i Maestri Daniele Lanuti e Gianluca Minati ed io lo seguo da fuori guardandolo attentamente, più che altro per capire in quale corso inserirlo, in modo da produrre gruppi omogenei, che è la base di ogni corso collettivo che si rispetti. Il suo timing sulla palla è scarso, gli appoggi sono casuali senza equilibrio, lo split step non esiste, il concetto di avampiede è sconosciuto. Il braccio racchetta nel diritto è quello che funziona meglio, ma l’altro braccio si potrebbe anche tagliare visto che non lo usa e gli è persino d’impaccio. Sorvolo sul servizio. Poi però mi concentro sui suoi occhi. No, non mi riferisco alla fissazione oculare sulla palla. Vedo in lui la voglia di giocare, il piacere fine a se stesso di colpire la pallina e ascoltare il suono. E dico a me stesso che questo non ha prezzo.
Passa qualche settimana e cominciamo a conoscerci meglio anche sul piano umano: scopro una bella persona che ne ha passate tante nella vita e sta ancora cercando una sua strada. Eppure è positivo, sereno, attivo. Ci mettiamo a tavolino e stabiliamo degli obiettivi. I classici. A breve, medio e lungo termine. Stabiliamo un programma che prevede tantissima tecnica, noiosa e ripetitiva per quanto possiamo inventarci qualche esercizio divertente. Poi una preparazione atletica specifica. Per prima cosa reimparare come si corre e ci si muove in campo. Qualche erudimento tattico per avere ordine nel proprio gioco. E tanto lavoro su se stessi e sulle proprie emozioni. Scopro quello che potremmo definire un allievo che tutti gli insegnanti vorrebbero avere: non sono io a stimolare lui, è lui a stimolare me. Il primo obiettivo quindi è migliorare sul piano tecnico, con focus su servizio e diritto. Poi per gioco decidiamo di pensare anche alla classifica. Obiettivo finale dell’anno, 4.5 minimo.
Lavoriamo sodo da ottobre a dicembre, 8 settimane di preparazione come se invece dei tornei FIT partendo da nc, dovessimo fare i tornei ITF o ATP. Tutti i giorni. Oltre ai corsi collettivi ci inventiamo allenamenti su ogni superficie, campi improvvisati, retine montate sotto i portici, sui campi di calcetto in giro per la città, ripetute in salita fatte nei garage, tutto ciò che possa far assomigliare questi allenamenti ad una preparazione d’altri tempi. Un po’ pugile suonato alla riscossa modello Rocky. Scruto il mio nuovo amico Marco, cerco di comprendere il meglio possibile da dove nascano queste motivazioni forti: viene ogni giorno alle 8,45 a farsi un sedere tanto per cosa? E torna il pomeriggio sempre con la massima voglia. C’è in lui una voglia di riscatto sociale e personale? Penso di sì. E questo è un fenomenale carburante, lo sappiamo, anche se è assai pericoloso. Perché al suo interno può contenere aspettative. Voglia inconscia di soddisfazione immediata, distacco dalla realtà e dagli obiettivi extratennistici. Non dobbiamo dimenticarci che Marco al momento deve pensare anche a crearsi una stabilità economica. Da una parte mi piace tantissimo la sua voglia di migliorare ogni giorno, dall’altra mi spaventa un po’ e non voglio che lui investa troppe energie in questo progetto distogliendole da altri obiettivi di vita. Non lo conosco ancora bene, capirò poi. Primo torneo sociale, passiamo un turno nel tabellone principale.
A Dicembre siamo a buon punto, i miglioramenti si vedono in ogni campo. Da che giocava con i principianti, possiamo metterlo nel corso di quelli un po’ più bravini. Per dare un’idea, gli agonisti adulti che più o meno sono quarta categoria, 4.4 o 4.3. Qualcosa di impensabile solo 2 mesi prima. Per cui per primi dobbiamo ringraziare i due Maestri Gianluca Minati e Daniele Lanuti che pazientemente lo hanno plasmato sul piano tecnico. Io ci ho messo le mie esperienze maturate con la GPTCA di Coach Castellani, Pat Remondegui e Fabio Valentini fatte a Perugia nei mesi scorsi. Anche l’inserimento del metronomo e dei suoni grazie al Tennis on the beat di Fabio Valentini ha aiutato molto. Stiamo programmando l’esordio al suo primo torneo ufficiale della vita a Gennaio e succede il crack. Epicondilite. Pesante. Non tiene in mano nemmeno una bottiglietta di plastica. Nemmeno una forchetta. Quando arriva e me lo comunica, dicendo che il medico gli ha dato 3 settimane di stop, non lo vedo triste negli occhi. Lo vedo sempre più convinto. E mi dice: “cominciamo?”. Ok faremo la parte atletica penso io. Nein. Viene agli allenamenti. Gioca con il braccio mancino! Avete letto bene, ricomincia daccapo con l’altro braccio. Ed anche con profitto. La bilateralità lo aiuterà anche quando tornerà a giocare col braccio “buono”. Alcuni degli altri allievi lo guardano con ammirazione, altri si chiedono chi glielo fa fare, parliamo pur sempre di un dilettante di 34 anni. Gioca le partitelle e le vince. Fa i punti. Corre su tutte le palle, percepisce che la parte tecnica è importante ma non decisiva. Non tutti vengono quando fa freddo, figuriamoci con il dolore. Lui, Marco, è lì. Sempre. Col freddo, con la pioggia, con la voglia. Sempre.
Da metà febbraio Marco D’Angelo è tornato a colpire la palla col braccio destro. Farà un torneo di prova, un TPRA ad Acilia la prossima settimana e poi esordirà il 1 Marzo a Pomezia, in un Open. Abbiamo lavorato sul piano tattico, sappiamo cosa fare e quando farla. Sappiamo cambiare in corsa se lo riteniamo opportuno. Sappiamo colpire bene la palla? Ancora no. Sappiamo ancora divertirci? Ancora sì.
Questo è Marco D’Angelo.
Alessandro Zijno