di Salvatore Buzzelli
Il fenomeno fisiologico che si manifesta a seguito di uno sforzo prolungato ed intenso e che agisce modificando negativamente lo stato di aruosal soggettivo, attraverso lo scadimento progressivo della prestazione psico-fisica, generalmente è chiamato Fatica.
In psicologia fisiologica l’ arousal è una condizione temporanea del sistema nervoso, in risposta ad uno stimolo significativo e di intensità variabile, di un generale stato di eccitazione, caratterizzato da un maggiore stato attentivo-cognitivo di vigilanza e di pronta reazione agli stimoli esterni.
Infatti uno dei principi fondamentali dell’allenamento sportivo è quello di “spingere” sull’acceleratore del carico sull’organismo per renderlo, alla lunga, capace di sopportare il lavoro e per protrarne il più a lungo possibile la produzione, ritardando lo stato di affaticamento.
In particolare nel tennis l’affaticamento, soprattutto se si presenta precocemente, è per importanza uno dei primi fattori che determinano l’esito negativo di un incontro o di un intero torneo.
In questa breve trattazione cercherò di illustrare i motivi e gli effetti indotti della fatica descrivendo i fenomeni ad essa legati con il contributo delle conoscenze scientifiche attuali.
Per la precisione distinguiamo tra diversi tipi di fatica che vanno da quella “centrale” a quella “periferica”, da quella relativa alla durata a quella legata all’intensità dello sforzo, o a quella derivata dall’insieme di sensazioni connesse alla realizzazione o meno del progetto motorio che l’atleta stesso elabora in base alla sua esperienza (Ergoazione).
Questi fenomeni possono presentarsi isolatamente, in concorrenza o in sommatoria tra loro, e quindi è realistico affermare che l’affaticamento sia da considerare come fenomeno multifattoriale .
Vediamo allora quali possono essere le possibili cause dell’insorgenza della fatica partendo dall’analisi della fatica periferica, cioè quella metabolica e muscolare.
Una ipotesi abbastanza radicata vuole che la fatica derivi dall’esaurimento delle scorte energetiche da parte del muscolo: infatti se prendiamo in considerazione ciò che accade durante uno sforzo di alta intensità per pochi secondi, vedremmo come l’ATP (fonte energetica primaria per la contrazione muscolare) venga idrolizzato rapidamente fino a far scendere la sua concentrazione intracellulare al di sotto dell’60%, questa rapida caduta adenosinica stimola la resintesi dell’ATP da parte delle fonti energetiche secondarie, che se non riescono a
resintetizzarne le quantità ottimali, favoriscono l’innesco di precisi meccanismi biologici che impediscono il proseguimento dello sforzo ai livelli desiderati, con conseguente scadimento della prestazione.
Proseguendo nell’ottica della valutazione dell’energia spesa, si può prendere in esame la presenza del lattato ematico, infatti se lo sforzo è continuo, di alta intensità e dura alcune decine di secondi, per essere sostenuto richiede l’ausilio del meccanismo lattacido che con l’acidosi muscolare che provoca e con l’elevata protonazione indotta (alta concentrazione endocellullare di idrogenioni) tende ad inibire l’accoppiamento actomiosinico oltre a disattivare la glicolisi fino all’arresto vero e proprio della produzione di lavoro.
Il discorso diventa ancora più complesso se invece gli sforzi intensi sono tanti e intervallati da momenti di riposo (come nel caso del tennis), nel tal caso si imputa alla non completa risintesi di fosfocreatina durante le pause, il ruolo fondamentale all’innesco della fatica.
Mentre negli sforzi di lunga durata, dell’ordine di qualche ora, sembrerebbe che la fatica derivi dalla depauperazione progressiva del glicogeno muscolare che non permetterebbe di resintetizzare quote adeguate di ATP col processo aerobico.
Sempre nel caso di sforzi prolungati oltre al fattore muscolare e metabolico (fattore periferico) bisogna considerare anche l’affaticamento che coinvolge il sistema nervoso (fattore centrale), infatti l’abbassamento del livello di glicemia, a causa della riduzione del glicogeno epatico, riduce anche la funzionalità del sistema nervoso centrale che funziona essenzialmente a glucosio.
Fattore periferico e fattore centrale in questo caso sono strettamente legati e si influenzano vicendevolmente.
E’ questa la fatica periferica.
Prendiamo ora in considerazione esclusivamente i fattori centrali, cioè quelli che riguardano il sistema nervoso.
Una ipotesi molto credibile, è quella che vede la fatica derivare da situazioni ormonali a livello centrale, che identifica l’insorgenza della fatica nella aumentata concentrazione della serotonina in alcune specifiche aree cerebrali.
La serotonina è un neurotrasmettitore monoaminico collegato alla regolazione del sonno, dell’umore, dell’appetito (sazietà), ed anche alla fatica.
Perché avvenga la formazione di serotonina, è necessario che nel cervello sia presente il suo precursore : il triptofano.
Il triptofano è un aminoacido aromatico che viene trasportato nel circolo sanguineo dall’albumina che a sua volta è capace di trasportare anche gli aminoacidi a catena ramificata e gli acidi grassi liberi (sigla inglese, FFA).
Questa sintetica premessa è necessaria per capire la dinamica del processo biologico che porta ad un aumento endocerebrale di serotonina.
Durante l’attività fisica prolungata, contrariamente a quanto si riteneva in passato, la produzione di energia è assicurata oltre alla degradazione aerobica dei carboidrati e grassi, anche dagli aminoacidi a catena ramificata (sigla inglese BCAA): leucina, isoleucina, valina.
Questo loro utilizzo fa si che diminuisca la loro concentrazione plasmatica a vantaggio degli aminoacidi aromatici, in particolare del triptofano.
Poiché il triptofano è competitivo con i BCAA per il passaggio attraverso la barriera ematoencefalica, cioè il triptofano può attraversare la barriera ematoencefalica e quindi entrare nel cervello solo se nel sangue non ci sono gli aminoacidi ramificati, il fatto che i BCAA vengono metabolizzati per produrre energia, fa si che la conseguenza finale è un aumento della concentrazione di triptofano nel cervello.
Addirittura questi fenomeni si amplificano quando le scorte di glicogeno si riducono notevolmente e l’intensità del lavoro cala, inducendo il sistema metabolico ad usare grandi quantità di grassi; questi si riversano nel sangue, per raggiungere i muscoli, partendo dai depositi sottocutanei sotto forma di acidi grassi liberi, anch’essi trasportati dall’albumina, per la quale hanno una affinità di legame molto alta.
Accade allora che negli sforzi di bassa intensità od alla fine di quelli più intensi, essendoci la priorità metabolica di fornire energia ai muscoli, l’albumina si carica maggiormente di FFA e lasci libero il triptofano con conseguente aumento del triptofano libero che vede facilitato il suo passaggio nel cervello, innescando così il processo di trasformazione in serotonina.(5-idrossitriptamina, 5-HT).
Un aumento di serotonina in alcune specifiche aree cerebrali (mesencefalo) a sua volta aumenta il grado di appannamento a livello centrale, con conseguente comparsa della stanchezza che determina la perdita di motivazione, la riduzione delle capacità coordinative e la perdita dei normali livelli di attivazione nervosa.
E’ questa la fatica centrale.
Alla fatica periferica e centrale si può collegare anche un altro fenomeno di tipo psico-biologico denominato Ergoazione (prof. R.Piga, 2008).
“E’ idea diffusa che il movimento umano sia l’esecuzione di un progetto motorio che si instaura a livello cerebrale (lobo frontale della corteccia motoria); il meccanismo di formazione di tale immagine si basa sui circuiti a feed-back e feed-forward ovvero sullo scambio di informazioni afferenti e efferenti al SNC.
La forza, l’energia, il tempo, la velocità prese singolarmente non sono controllabili perché dipendenti dalle contingenze di gara e suscettibili a variazioni dovute a scelte istintive, a decisioni maturate in base alle opportunità che si presentano, al contrario l’Ergoazione sta alla base del progetto motorio e può essere valutata con estrema sensibilità dall’atleta che, in base al proprio stato condizionale e funzionale, alla carica motivazionale, alla conoscenza del percorso, all’esperienza acquisita, è in grado di valutare l’entità e suddividerla in unità regolari e costanti; prima della gara fa il calcolo delle unità da spendere.
L’atleta in definitiva computa l’Ergoazione totale da mettere in preventivo per lo sforzo che sta per compiere, questo bilancio è molto importante in quanto l’Ergoazione totale rappresenta la soglia di fatica: quindi, la soglia di fatica è costituita dall’Ergoazione totale che l’atleta aveva preventivato prima della gara.
Se viene spesa razione dopo razione con estrema regolarità, l’atleta dovrebbe terminare la gare senza aver raggiunto la soglia di fatica
La soglia di fatica è da collegarsi all’esaurimento dell’Ergoazione totale preventivata.”
Una ipotesi suggestiva non suffragata da dati scientifici certi, ma possibile.
Riflessioni personali.
Se dal punto di vista ormonale la fatica è legata alla serotonina, la Prestazione è legata ad ormoni dalle caratteristiche contrapposte.
I risultati agonistici in quasi tutti gli sport richiedono alte dosi di aggressività e l’aggressività è legata al testosterone.
Infatti alte concentrazioni di serotonina limitano l’ aggressività, questo ormone come è risaputo facilita il sonno, regola il senso di sazietà; mentre gli effetti del testosterone aumentano il senso di “allerta” e migliorano la velocità di trasmissione nervosa oltre alla stimolazione dell’incremento della forza muscolare; non a caso il doping praticato da atleti di basso profilo morale negli sport di potenza utilizzano questo ormone o alcuni suoi precursori (epitestosterone) o derivati (nandrolone, stanazololo, ecc..) per “barare” ed ottenere risultati migliori (ma fasulli!!!) a danno della propria salute.
In pratica serotonina e testosterone assolvono a fenomeni biologici contrapposti.
Probabilmente se si avessero concentrazioni più alte di testosterone capaci di annullare l’effetto della serotonina, la fatica potrebbe essere contrastata e controllata .
Da qui una mia intuizione che presenta reazioni concrete e tutto sommato credibili: ai miei allievi appena sentono i primi sintomi della fatica durante l’incontro di tennis, chiedo di eseguire tre salti verticali massimali sul posto, che come è noto stimolando l’asse ipofisi-surrenali-gonadi, inducono ad una significativa increzione di testosterone .
Le sensazioni migliorano istantaneamente e ci si sente immediatamente più reattivi e pieni di energia.
Una ipotesi empirica su cui sto raccogliendo dati utilizzando il mio nuovo strumento : il SensoBuzz.
Vedremo se i risultati confermeranno la mia ipotesi.
Anche attraverso l’alimentazione è possibile contrastare l’insorgenza della fatica, soprattutto con la somministrazione di carboidrati durante lo sforzo, in quanto si riduce l’utilizzazione energetica dei grassi e degli aminoacidi ramificati, quindi elimina i presupposti di partenza dell’ingresso di elevate quantità di Triptofano nel cervello.
Anche con la supplementazione di aminoacidi ramificati si permetterebbe la diminuzione di serotonina e quindi la diminuzione indiretta della sensazione di fatica ma le dosi richieste in questo caso dovrebbero essere elevate e quindi potenzialmente pericolose per la salute per cui se ne sconsiglia la pratica.
Insomma, in un verso o nell’altro in tutti gli sport si devono fare i conti con la fatica, un elemento di grave disturbo della prestazione che prima o poi si presenta, sempre.
E’ compito dell’atleta, dell’allenamento e dell’alimentazione, contrastarla.
Per quanto mi riguarda sono più propenso a credere che esista una soglia di fatica soggettiva derivata dall’adattamento alla quantità/intensità di lavoro svolto durante le fasi preparatorie pre-agonistiche .
“Improbus labor omnia vincit” dicevano gli antichi romani, cioè “ il duro lavoro vince su tutto”.
“No pain, no gain“ cioè “non si vince senza soffrire” è invece il monito ai giorni nostri.
Modi diversi di dire per esprimere gli stessi concetti.
La scienza ci aiuterà a trovare soluzioni sempre più efficaci contro l’insorgenza della fatica, ma non potrà eliminarla in quanto è un fenomeno biologico di autodifesa per l’organismo.
A proposito di alimentazione e fatica: è ampiamente risaputo che il triptofano si trova in grandi quantità, nel cioccolato, nei latticini e nelle banane, … ma, allora mi chiedo: “Perché si continua a vedere tennisti che durante le partite, mangiano banane?”.