Di Massimo D’Adamo
Non sapremo mai come sarebbe andata se Nadal fosse sceso in campo. Quel che sappiamo è che al suo posto ci è andato Denis Shapovalov e che Novak Djokovic ha fatto il resto razziando Bercy. Ma la campagna di Francia racconta anche di un canadese che incalza, ormai da vicino, i signori del tennis, mostrando che la next gen è frutto anche di rinnovati modelli di gioco oltre che di inesauribili energie giovanili.
Dico questo perché il mondo racchettaro è saturo di eroi dal tennis stereotipato e, da tempo, è alla disperata ricerca di campioni disuguali l’uno l’altro come le nuvole, i sassi e le gocce di pioggia! Di fronte alle immagini del torneo parigino, anch’io ho inseguito il miraggio di un domani tennistico non troppo uguale a se stesso, così come i cheeseburger della McDonald di Sydney o New York e grazie a Shapovalov, ho goduto della differenza tra una maggioranza che tira in modo anonimo e mosche bianche che bucano il video con qualche giocata sopraffina. Rarità che fa tirare al grande pubblico un sospiro di sollievo e dice che senza i fuoriclasse lo spettacolo sportivo rischia di rimanere al palo.
Una riflessione, la mia, dovuta anche a un mestiere che mi ha dato in sorte allievi sinistri di buon valore. Tanto per dire che, rispetto ai destrosi, i mancini mal sopportano gabbie rigide alla spiccata istintività, per cui mi auguro che tecnicamente sia concesso al ragazzo del Quebec di andare dove lo porta il cuore evitando costrizioni gestuali di sorta.
In totale paranoia, durante il torneo di Bercy andavo collocando quel tennis champagne, stappato con l’entusiasmo di un next gen, vicino a quello di Leconte da cui sembra sorbire perle di follia e concludevo che se anche la continuità avrà un suo ruolo siamo di fronte a un grande campione! Ciò detto, mi lancio dicendo che la sua individualità è tra le certezze più interessanti del nuovo che avanza e che, giustamente, il tennis mondiale guarda a lui come a un patè da guida Michelin più che a un panino da fast food.